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La carne di bufalo

18/04/2024

La carne di bufalo

Basso contenuto di grassi, tenera, leggera. La carne di bufalo è stata definita “la carne degli sportivi” per le sue caratteristiche, ma stenta ad arrivare sulle tavole degli italiani.

Il suo areale di produzione coincide con quello della mozzarella di bufala, perché dove c’è un allevamento bufalino oltre ai prodotti caseari si produce sempre anche della carne.

Eppure, tra Campania, basso Lazio, nord della Puglia e parte del Molise, i consumi di carne di bufalo non sembrano essere mutati da quando numerose ricerche scientifiche ne hanno confermato le doti.

Fattori culturali, economici e reddituali incidono su un segmento che potrebbe rappresentare un reddito aggiuntivo per gli allevatori di bufale, ma che necessita di unione e di valorizzazione.

In Italia ci sono all’incirca 400 mila capi, di cui il 74% si concentra in Campania, gran parte finalizzato alla produzione casearia. Si stima che si dedichi alla produzione di carne una percentuale che si attesta attorno al 14%.

La carne di bufalo

Il consumatore conosce poco la carne di bufalo, spesso la si ritrova nel proprio piatto senza saperlo perché non viene qualificata. Dovremmo crederci prima noi, poi fare un lavoro di divulgazione corretto e attento”, spiega Michelangelo Ricco della Ricco Group, impegnato nel settore della vendita e della trasformazione di carne di bufalo anche con la bottega “La Sciccheria Gourmet” di Eboli, nella Piana del Sele.

Incide, senz’altro, anche la bassa resa di carne rispetto al bovino che la porta ad essere naturalmente più costosa. Inoltre, proprio l’alta presenza di ferro e di acidi grassi che la rendono così pregevole contribuiscono ad un’alterazione visiva più precoce, che piace poco alle persone. Visto che si acquista sempre più nella grande distribuzione, l’occhio vuole la sua parte e un consumatore che non conosce questi aspetti sceglie altre carni. Le bracerie, ad esempio, sono piene di carni estere, ma poco si fa per dare spazio a produzioni italiane con filiere più corte”.

La carne di bufalo

Il bufalo in Italia

Bubalus bubalis è il nome scientifico della bufala mediterranea italiana, riconosciuta ufficialmente nel 2000 dal MASAF. Le sue tracce sono presenti nel nostro territorio sin dalla Preistoria, un animale prezioso non solo per il suo latte e le sue carni, ma anche per la forza che ha messo a disposizione dell’uomo, soprattutto nelle zone paludose.

La carne di bufalo

Perché mangiare carne di bufalo

Particolarmente adatta all’alimentazione degli sportivi, è perfetta anche per bambini e anziani. Il suo contenuto proteico è superiore alla carne bovina, doppia la quantità di ferro.

La presenza di grasso, inoltre, tende a concentrarsi esternamente e diventa di facile eliminazione. Molto basso, infatti, rispetto ad altre carni il grasso di infiltrazione.

La carne di bufalo è indicata anche per chi ha la necessità di tenere a bada i livelli di colesterolemia, essendo ricca di acido stearico, oleico e linoleico.

Maggiori, rispetto alla carne di bovino, le quantità di vitamina B6, B12 e di ferro e di potassio. Non mancano nemmeno zinco, cromo, rame e magnesio. I tagli di carne disponibili sono sostanzialmente identici a quelli della carne bovina.

I salumi di bufalo

I salumi di bufalo godono delle stesse proprietà delle carni di cui sono fatti. A basso contenuto di grassi e ricchi di ferro, si prestano ad arrivare sulla tavola di chi, in genere, non dovrebbe consumarne.

Con un sapore più deciso dei salumi di suino, hanno una vita più semplice della carne fresca. Merito di una shelf life nettamente superiore e della possibilità di poterli trasportare facilmente, tanto che sono diventati un souvenir gastronomico amato, soprattutto in alcune zone turistiche campane. Alcune aziende sono andate ben oltre la classica salsiccia e soppressata, producendo anche bresaola, speck affumicato e mortadella.

a cura di

Antonella Petitti

Giornalista, autrice e sommelier. Collabora con diverse testate, tra radio, web e carta stampata. Ama declinare la sua passione per il cibo e i viaggi senza dimenticare la sostenibilità. Sempre più “foodtrotter” è convinta che non v’è cibo senza territorio e viceversa.

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