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Voci dalla Scuola Dolce&Salato. La formazione è figlia del fare

06/09/2021

Voci dalla Scuola Dolce&Salato. La formazione è figlia del fare

La crescita professionale è come una palestra capace di formare i muscoli e preparare al mestiere ponendosi obiettivi da leader. Occorre mediare, trovando una risposta semplice e coerente tra chi offre un posto di lavoro e chi dovrebbe allo stesso tempo offrire competenze piuttosto che lamentarsi. Giuseppe Daddio s’interroga sul ruolo della formazione professionale per la ristorazione e illustra il suo punto di vista, lucido e propositivo.

Lo chef Giuseppe Daddio, fondatore  della Scuola Dolce & Salato di Maddaloni Lo chef Giuseppe Daddio, fondatore della Scuola Dolce & Salato di Maddaloni

Se qualcosa di buono resterà da questo maledetto periodo durante il quale siamo stati ostaggio del Covid, sarà l’opportunità di riflessione di cui tutti noi abbiamo goduto. Negli ultimi due anni, si è verificata, nel mondo dell’accoglienza e della ristorazione, una situazione che ha portato in superficie problemi sommersi, insidie nascoste e carenze del sistema che è urgente individuare e analizzare allo scopo di trovare la soluzione che permetta di ricostruire un tessuto culturale e imprenditoriale in crisi. 
Riflettere, con coscienza, sugli errori del passato, sembra essere l’unico modo per affrontare il futuro.

Alla fine dell’estate, alla riapertura delle scuole, anche il mondo della formazione s’interroga. Giuseppe Daddio, fondatore e direttore insieme ad Aniello di Caprio della Scuola di Formazione Professionale Dolce & Salato di Maddaloni (CE), una struttura che registra ogni anno ottocento addetti ai lavori che seguono i corsi di specializzazione tenuti da maestri pasticceri e chef di rilievo nazionale e internazionale, analizza la situazione che si è creata negli ultimi mesi: “Quest’anno, la stagione estiva ha risentito non solo della mancanza di risorse nel settore del food ma della carenza di competenze in grado di garantire la qualità del cibo e del servizio. È evidente che la crisi economica ha fatto emergere problemi annunciati da un decennio, ma ignorati, finché non sono esplosi, prepotentemente”. 

Studenti allStudenti all'opera alla Scuola Dolce & Salato di Maddaloni (CE)

Giuseppe Daddio denuncia con forza e con passione quella sorta di decadimento culturale che, oggi, impedisce ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro di comprendere il valore reale del compito che vanno a intraprendere. Non è un’attribuzione di colpa la sua, piuttosto il riconoscimento di uno stato di fatto, per trovare un rimedio. 
“C'è voluta la pandemia – dichiara chef Daddio - per portare alla luce il valore delle persone e delle loro professionalità, fattori determinanti per le competenze. Giovani scoraggiati e inconsapevoli del mondo lavorativo, faticano e scollarsi dai social media e da schemi illusori che li hanno portati a lamentarsi e a vivere la giornata come se non ci fosse più un domani”. 

Manca, secondo Peppe Daddio, una base di educazione generale; manca la cultura del cibo, mentre, paradossalmente, le persone sono troppo acculturate per il lavoro.
Spiega il suo punto di vista: “Ieri, all’epoca dei Borboni, esistevano i monsù, ovvero i servitori; erano persone di poca cultura ma capaci di svolgere un mestiere, un mestiere umile ma ben delineato. Oggi, c’è molta informazione ma manca la formazione pratica. Non dobbiamo rimpiangere il passato, certamente, ma abbiamo dato troppa importanza all’operatore, tralasciando di costruire in lui quelle basi caratteriali che potessero dargli la capacità di svolgere la mansione con competenza. Il circolo mediatico, intorno al mestiere della cucina - che in parte ha fatto del bene, perché ha posto l’attenzione sul settore del cibo - è anche responsabile di aver alimentato false illusioni: i nostri giovani sono spesso fragili, disorientati da un mondo nel quale si trovano a essere trainati senza poter fare da traino essi stessi, passeggeri ignari; non capiscono, finché non si trovano davanti alla realtà, che il lavoro di cuoco è frutto di un percorso fatto, prima di tutto, di sacrificio, passione, dedizione e obiettivi”.   

 

Opere di pasticceria alla scuola Dolce&SalatoOpere di pasticceria alla scuola Dolce&Salato

Giuseppe Daddio non punta il dito, esprime una critica costruttiva che – si augura – possa portare a un cambiamento, indispensabile. “Oggi – spiega con una certa amarezza - da studi rilevati da sociologi di varie città, emerge che gli adulti dai 20 ai 30 anni non hanno la tempra per sostenere neanche otto ore di lavoro. Semplicemente non hanno la capacità di reggere il ritmo della ristorazione: in cucina si lavora 14 ore al giorno, con ritmi di lavoro spesso assillanti. La scuola, pertanto, si trova a svolgere il ruolo di formare il carattere, oltre a dare le cognizioni di base, deve far capire il senso del dovere e lo spirito d’insieme e, se nei giovani questi sentimenti non albergano già, siamo noi formatori che dobbiamo insegnarglielo: tra i formatori, considero anche i datori di lavoro, perché la gavetta in cucina deve essere un periodo di crescita, è fondamentale”. 

Le nuove generazioni si formano in pasticceriaLe nuove generazioni si formano in pasticceria

Non ignora, e certo non nasconde Peppe Daddio, il fatto che esistano imprenditori che trascurano questo compito e abusano della parola “stage” per ottenere manodopera gratis senza offrire in cambio quella formazione indispensabile alla crescita professionale di cui i giovani hanno bisogno: “Questo atteggiamento non è costruttivo: se invece di usare il giovane, alimentando in lui il senso di inadeguatezza e la sfiducia, lo istruisco sotto la guida di un capo partita, farò il suo bene e anche il mio, perché avrò contribuito al miglioramento generale del settore formando un professionista. Naturalmente esistono diverse criticità che influiscono su questo comportamento: la necessità di sgravi fiscali, la regolamentazione di ammortizzatori sociali che non incentivano al lavoro; ma non voglio addentrarmi in queste tematiche che pure avrebbero bisogno di essere prese in attento esame”. 

Qual è la soluzione, dunque, secondo Giuseppe Daddio, chef e formatore dalla coscienza critica e dal profondo spessore etico?
“Noi addetti ai lavori, dobbiamo cambiare atteggiamento, dobbiamo avere la consapevolezza che la società è profondamente cambiata e, invece di colpevolizzare i giovani, fragili e disorientati, aiutarli a trovare l’equilibrio necessario a intraprendere la strada che hanno scelto. Non serve bastonarli, dobbiamo motivarli e incoraggiarli, forgiarli, plasmare le loro doti, rallentare la loro fretta di arrivare colmando il tempo con l’istruzione. Dobbiamo accompagnare nella crescita tutti coloro che hanno la volontà di imparare, e poi, assicurare loro un giusto compenso. Questo è il ruolo della scuola e di una società civile responsabile, nei confronti dei suoi giovani”. 

Un cambio di mentalità da parte di tutti gli addetti ai lavori, dunque, auspica Giuseppe Daddio e un aggiornamento continuo. Il programma didattico delle scuole di formazione deve tenere conto delle tendenze ed essere aggiornato di conseguenza: alla Dolce & Salato non mancano percorsi di formazione studiati proprio per questo, spiega: “Negli ultimi anni, per esempio, l’interesse per la pasticceria è salito almeno del 20% rispetto alla cucina ed è un segnale che conferma l’attitudine culturale in atto: lavorare in un laboratorio di pasticceria, impegna meno in fatto di ore lavorative e di fatica fisica e offre quella gratificazione che la cucina suggerisce ma non sempre garantisce. Anche la panificazione sta riscuotendo consenso. La cucina ha deluso molti, illusi da falsi modelli, e adesso deve recuperare favore e, soprattutto, concretezza. Non dobbiamo biasimare quei giovani alla ricerca di originalità e creatività senza avere le basi, hanno seguito esempi discutibili, piuttosto mostriamo loro la vera essenza della cucina italiana, concreta, oggettiva e di sostanza, un valore riconosciuto nel mondo. La nostra scuola accoglie e forma in modo reale e non illusorio i corsisti che accompagniamo singolarmente per mano verso il mondo del lavoro attraverso le convenzioni stage. Il nostro compito, oggi, è quello di mostrare loro la direzione giusta, di lasciarli sbagliare e capire, per imparare e crescere. La pandemia ci ha dato la possibilità di pensare, non sprechiamo questa chance, facciamola fruttare”. 

 

Marina Caccialanza

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