Non ignora, e certo non nasconde Peppe Daddio, il fatto che esistano imprenditori che trascurano questo compito e abusano della parola “stage” per ottenere manodopera gratis senza offrire in cambio quella formazione indispensabile alla crescita professionale di cui i giovani hanno bisogno: “Questo atteggiamento non è costruttivo: se invece di usare il giovane, alimentando in lui il senso di inadeguatezza e la sfiducia, lo istruisco sotto la guida di un capo partita, farò il suo bene e anche il mio, perché avrò contribuito al miglioramento generale del settore formando un professionista. Naturalmente esistono diverse criticità che influiscono su questo comportamento: la necessità di sgravi fiscali, la regolamentazione di ammortizzatori sociali che non incentivano al lavoro; ma non voglio addentrarmi in queste tematiche che pure avrebbero bisogno di essere prese in attento esame”.
Qual è la soluzione, dunque, secondo Giuseppe Daddio, chef e formatore dalla coscienza critica e dal profondo spessore etico?
“Noi addetti ai lavori, dobbiamo cambiare atteggiamento, dobbiamo avere la consapevolezza che la società è profondamente cambiata e, invece di colpevolizzare i giovani, fragili e disorientati, aiutarli a trovare l’equilibrio necessario a intraprendere la strada che hanno scelto. Non serve bastonarli, dobbiamo motivarli e incoraggiarli, forgiarli, plasmare le loro doti, rallentare la loro fretta di arrivare colmando il tempo con l’istruzione. Dobbiamo accompagnare nella crescita tutti coloro che hanno la volontà di imparare, e poi, assicurare loro un giusto compenso. Questo è il ruolo della scuola e di una società civile responsabile, nei confronti dei suoi giovani”.
Un cambio di mentalità da parte di tutti gli addetti ai lavori, dunque, auspica Giuseppe Daddio e un aggiornamento continuo. Il programma didattico delle scuole di formazione deve tenere conto delle tendenze ed essere aggiornato di conseguenza: alla Dolce & Salato non mancano percorsi di formazione studiati proprio per questo, spiega: “Negli ultimi anni, per esempio, l’interesse per la pasticceria è salito almeno del 20% rispetto alla cucina ed è un segnale che conferma l’attitudine culturale in atto: lavorare in un laboratorio di pasticceria, impegna meno in fatto di ore lavorative e di fatica fisica e offre quella gratificazione che la cucina suggerisce ma non sempre garantisce. Anche la panificazione sta riscuotendo consenso. La cucina ha deluso molti, illusi da falsi modelli, e adesso deve recuperare favore e, soprattutto, concretezza. Non dobbiamo biasimare quei giovani alla ricerca di originalità e creatività senza avere le basi, hanno seguito esempi discutibili, piuttosto mostriamo loro la vera essenza della cucina italiana, concreta, oggettiva e di sostanza, un valore riconosciuto nel mondo. La nostra scuola accoglie e forma in modo reale e non illusorio i corsisti che accompagniamo singolarmente per mano verso il mondo del lavoro attraverso le convenzioni stage. Il nostro compito, oggi, è quello di mostrare loro la direzione giusta, di lasciarli sbagliare e capire, per imparare e crescere. La pandemia ci ha dato la possibilità di pensare, non sprechiamo questa chance, facciamola fruttare”.
Marina Caccialanza