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La guerra del vino tra Cina ed Europa

13/07/2013

La guerra del vino tra Cina ed Europa
Tutto è cominciato ai primi di giugno con i pannelli solari cinesi verso cui l’Unione Europea ha applicato sanzioni per la vendita sotto costo che viene fatta sui mercati europei con il supporto di agenzie statali che promuovono l’industria solare cinese.

La risposta dalla Cina non si è fatta attendere e a farne le spese è il vino europeo che, da pochi giorni è sottoposto ad un’inchiesta antidumping sulle importazioni che, stando ai comunicati ufficiali di Pechino, durerà fino al 1° luglio 2014, ma “in circostanze particolari” potrebbe prolungarsi fino a gennaio 2015. Il capo d’accusa sintetizzato nel fatto che il vino europeo è promosso da fondi pubblici dell’UE e questo permetterebbe di vendere in Cina vini ad un prezzo competitivo sul mercato.

Tutto questo avrà un primo risultato: la paralisi del mercato in un momento in cui l’export del vino è vitale per molte aziende italiane. Nel 2012 i paesi dell’UE hanno esportato in Cina, secondo la Commissione, vino per un valore di 763 milioni di euro. Di questa quota l’Italia occupa la quinta posizione, con 75 milioni di euro fra vini sfusi e imbottigliati contro i 612 collocati dalla Francia, i 177 dall’Australia, i 114 dal Cile e gli 87 dalla Spagna. Il governo cinese ha attivato una procedura che, letta tra le righe, mira a creare contrapposizione tra produttori e Comunità Europea. Infatti ha istituito un elenco di esportatori, a cui ci si può iscrivere facoltativamente entro il 20 luglio, volto a favorire il rapido svolgimento dell’indagine antidumping. Chi si iscrive potrà essere controllato nel corso dell’indagine, ma viene considerato cooperante e godrà, al termine dell’inchiesta antidumping, di sconti sul futuro aumento dei dazi pavesato dalle autorità cinesi.

In Italia ministero e ICE si sono attivati a sostegno di questa pratica, offrendo disponibilità nella compilazione del modulo. “I dazi che la Cina minaccia di adottare sull’import di vino - sottolinea la Cia - avrebbero un effetto traumatico nei confronti dei nostri produttori vitivinicoli (più di 1500 nel 2012 hanno esportato sul mercato cinese), che hanno visto aumentare in maniera consistente il flusso commerciale con il colosso asiatico. Basti pensare che nel primo trimestre del 2013 in Cina sono stati esportati 3 milioni e 770.000 litri di vino con un aumento del 10,7% sul 2012. Solo per il settore degli spumanti l’export sul mercato cinese è stato pari a 598.000 litri, con un aumento record dell’83,5%. E l’allarme oggi riguarda soltanto il vino, ma potrebbe interessare anche altri prodotti agroalimentari”. Il tasso di importazione attualmente è del 47%. La quota potrebbe salire al 70%.

Denis Pantini, responsabile area di Ricerca Agricoltura e industria alimentare Nomisma, afferma che “ il rischio di un aumento dei dazi all'import di vino europeo in Cina penalizzerebbe i produttori italiani che già faticano - rispetto a  francesi e cileni - a tenere il passo di un mercato che oggi vale 1,2 miliardi di euro (di vini importati) e che in dieci anni è cresciuto  del 5.000%. La minaccia di un aumento dei dazi all'import di vino europeo da parte della Cina rappresenta un pericolo assolutamente da scongiurare per i produttori italiani".

Nel frattempo due consorzi di produttori italiani - l’Istituto Grandi Marchi e Italia del Vino - hanno presentato al Ministero delle Politiche Agricole un progetto triennale per la promozione del vino italiano sul mercato cinese, per un valore complessivo di investimento pari a 4,7 milioni di euro. Il progetto parte dalla volontà di agire uniti, condizione fondamentale per penetrare il mercato internazionale.

“Questa situazione non è più sostenibile – sottolineano i presidenti dei due consorzi, Piero Antinori ed Ettore Nicoletto – e il rischio concreto è quello di venire relegati in posizioni ancora meno influenti. Siccome il vino italiano è vincente ovunque nel mondo per qualità, capacità di integrarsi con le cucine locali e prezzo, il problema sta, secondo noi, nella frammentazione della nostra proposta complessiva. Ci siamo presentati in molti contesti, ma sempre individualmente, cercando di spiegare ad un pubblico non compiutamente formato, tutta la complessità della produzione italiana. Troppe informazioni, in troppo poco tempo. Il risultato è che non ci hanno capiti”.

Luigi Franchi
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