Come si sceglie la pasta? Da cosa si capisce che una pasta è di buona qualità?
Gennaro Esposito, patron bistellato de
La Torre del Saracino di
Vico Equense, e
De Cecco hanno spiegato con uno showcooking di approfondimento, a Milano, i
segreti della pasta e come interpretare il concetto di qualità. “Spesso siamo legati a una percezione sbagliata della qualità – spiega
Esposito – che interpretiamo secondo il principio dell’appartenenza al territorio senza tener conto del fatto che non sempre il miglior prodotto a disposizione appartiene a quello che viene definito km 0. Per questo motivo - perché
uno chef deve conoscere tutti i prodotti che rappresentano il suo Paese - ho visitato i migliori pastifici italiani e quando, di fronte allo stabilimento di
De Cecco, ho percepito il profumo del grano, ho capito che lì valeva la pena di fermarsi e conoscere meglio il prodotto e il produttore”. Ecco il
primo elemento di valutazione, secondo
Gennaro Esposito, che tutti dobbiamo adottare per capire se la pasta che stiamo per utilizzare è di buona qualità:
il profumo. Gerardo Del Bon,
tecnologo alimentare di De Cecco, che ha affiancato lo chef in questa lezione di gusto, spiega che i metodi di trafilatura ed essiccazione sono fondamentali. Dopo il profumo, le peculiarità che balzano immediatamente all’occhio e devono essere tenute in conto sono
il colore e la rugosità. “Un colore troppo scuro, rispetto al colore naturale della semola, significa che la pasta è stata essiccata ad alta temperatura e una sensazione liscia al tatto che la trafilatura è avvenuta al teflon e non al bronzo. Gli effetti di questo metodo di lavorazione si ripercuotono sul sapore, sulla capacità della pasta di catturare i sughi e sulla tenuta in cottura. In pratica, l’essiccazione ad alta temperatura permette all’industria di abbreviare i tempi di lavorazione ma, insieme all’uso di trafile di teflon, provoca un effetto vetrificato che, se da un lato non fa perdere la cottura, dall’altro rende la pasta scivolosa e poco gradevole alla masticazione”. A questo punto potrebbe intervenire quell’errore di percezione della qualità che
Gennaro Esposito ha citato in esordio: “Sarebbe sbagliato ribaltare il concetto e credere che una pasta chiara e molto ruvida al tatto sia per forza di cose di buona qualità; una rugosità eccessiva, infatti, è sintomo di produzione affrettata eseguita con troppa acqua. La pasta sarà difficile da cuocere, risultando dura all’interno e appiccicosa all’esterno, praticamente immangiabile”. Eccoci alla resa dei conti:
come deve essere la pasta di buona qualità? Cerchiamo di stilare una sorta di decalogo secondo
Gennaro Esposito e De Cecco. La buona pasta deve essere
delicatamente profumata di grano, di
colore chiaro simile alla semola,
moderatamente ruvida; il grano impiegato può essere italiano ma la formula migliore è una miscela di gradi nazionali ed esteri, principalmente americani, di ottimo valore e in grado di apportare il giusto equilibrio di glutine; deve essere essiccata a una temperatura che può variare da 55 a 60°C per 18 ore; cotta in abbondante acqua che risulterà leggermente opacizzata ma non torbida, insaporita con 10 g di sale ogni litro; cucinata nel formato più adatto alla ricetta. “Se il condimento è di gusto delicato – spiega
Esposito - come le vongole per esempio, il formato migliore è lo spaghetto che essendo lungo e sottile trattiene meno l’olio e permette di percepire il sapore del sugo; con un sugo più grasso e saporito, come l’amatriciana, sono perfetti il pacchero o la penna che con la loro consistenza prevarranno sul sugo equilibrando i sapori; con un ragù di lepre l’ideale sono le pappardelle dal volume ampio; quando, infine, serve dare alternanza di consistenze per contrastare la staticità di una salsa, per esempio nel caso di pasta e fagioli e pasta e pesce, una specialità di De Cecco è la pasta mista, diversi formati, diversa masticabilità e il giusto movimento al piatto”.
Marina Caccialanza