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La vera cucina bolognese, secondo Alberto Bettini

26/01/2023

La vera cucina bolognese, secondo Alberto Bettini

La tradizione è un’innovazione ben riuscita - le riflessioni di Alberto Bettini di Amerigo 1934

Per i riscontri economici e le valutazioni positive da parte dei clienti lo stato attuale della cucina bolognese potrebbe essere considerato ottimo. Il livello qualitativo della cucina bolognese in generale, tolta la solita decina di ristoranti ben conosciuti per la qualità dei prodotti che utilizzano, si adatta mediamente a un turismo mordi e fuggi. Anche sulla stampa gran parte delle discussioni si sviluppano sempre attorno alla qualità del ristorante attraverso la capacità del cuoco di essere fedele alle ricette che pratica. In realtà molti perdono di vista che l’obiettivo principe di chi fa accoglienza è di offrire un’esperienza vera, reale, e questa cosa passa solo attraverso l’utilizzo delle materie prime locali perché altrimenti una ricetta bolognese sviluppata con materie prime più o meno buone ma comprate magari attraverso la grande distribuzione non fa altro che proporre una cucina che di bolognese non ha nulla se non magari il luogo di nascita del cuoco. Non pretendo di sostenere che le materie prime locali siano le più buone del mondo, voglio dire semplicemente che se una persona si siede al tuo ristorante e ama Bologna e ama quello che si mangia nell’area di Bologna a questa persona è giusto dare quello che il territorio rurale offre. 

Credo che “tradizione” sia un termine abusato. La cosiddetta tradizione a tavola dura un lampo perché quella cui si rifaceva mia nonna non era quella di mia madre e non è la mia. Tradizione vorrebbe significare legarsi a delle pratiche acquisite da chi ti ha preceduto, pensando a un periodo storico relativamente breve, farne tesoro e da queste radici sviluppare l’anima per potere produrre cose sempre più buone. Come si usa dire: la tradizione è una innovazione ben riuscita. Io applico il concetto di “tradizione del futuro”, cioè creare dei piatti che possano diventare tradizionali per i prossimi cinquant’anni pur sapendo benissimo che fra cent’anni nessuno si ricorderà più di Amerigo e di quello che ha fatto perché ci saranno altri locali che allora verranno considerati tradizionali. Più che di tradizione ha più senso parlare di ristorazione locale, che interpreta in un preciso momento un determinato territorio. 

La sala di Amerigo 1934La sala di Amerigo 1934

La misura aurea della tagliatella o la ricetta del ripieno dei tortellini depositata alla Camera di Commercio sono baggianate inventate da chi ha una mentalità molto ristretta e ha perso di vista l’anima della cucina. È più importante cercare continuamente di migliorarsi adottando criteri legati a particolari tipi di cottura o, perché no, sviluppare delle modifiche a certi tipi di cottura che migliorino la qualità del piatto. Ci si nasconde dietro a “mio nonno faceva così” dimenticando che poteva anche sbagliare oppure faceva così semplicemente perché le sue materie prime erano diverse da quelle che ho io oggi. Se mio nonno protraeva la cottura per sette ore probabilmente lo faceva perché quel taglio di carne necessitava di cottura così lunghe, magari adesso un’altra razza bovina o suina vicino a casa mia necessità di quattro ore e non vedo perché devo farne sette perché così faceva mio nonno. La farina che usavano alla fine dell’Ottocento era diversa da quella che uso adesso e così pure le uova.

Alberto Bettini, in odore di tartufo biancoAlberto Bettini, in odore di tartufo bianco

Le ricette sono solo tracce. Si può dire che quella che chiamano tradizione finisce per essere conservazione. Mettiamo a confronto le mitizzate tagliatelle gialle con quelle che tiriamo oggi nella mia trattoria, che sono tendenti al grigio per la farina e per le uova biologiche che usiamo. Ricordo che quando mia nonna preparava le tagliatelle in inverno, quando le galline facevano poche uova fresche, lei usava quelle che conservava sotto calce in una damigiana e quella sfoglie era quasi simile a quella che faccio io adesso. La tagliatella gialla è quella che si dice tradizionale ma origina da uova di galline allevate male e alimentate con beta carotene.

Quando penso alla cucina bolognese penso anche alle occasioni che si perdono in questo momento in cui la nostra cucina è riconosciuta nel mondo e fa di Bologna una delle mete più ambite per un turismo interessato alle città d’arte e all’enogastronomia del loro territorio. Mi piacerebbe che Bologna trattasse le proprie materie prime come zone meno fortunate della nostra trattano le loro.
Durante i miei viaggi in giro per il mondo, in luoghi molto meno baciati da Dio rispetto a Bologna, dove hanno magari meno varietà, forse anche meno qualità, in tutte le carte, dal locale più semplice al ristorante più importante, le materie prime locali sono sempre citate, vengono sempre menzionati i fornitori e sembra che non ci sia possibilità di fare cucina se non utilizzando quei prodotti, ringraziando quelli che poi sono i loro vicini di casa che li aiutano a fare bene i ristoratori. Questo lo vedo raramente sia a Bologna che in giro per l’Italia. Penso che se Bologna raccontasse meglio il proprio territorio rurale si renderebbe più stabilmente una meta gastronomica eccellente. Se andiamo avanti così ho paura che l’attrattività di oggi sia una bolla che prima o poi finirà perché cominceranno ad accorgersi di cosa sono i salumi nel tagliere o che la tagliatella fatta con ingredienti qualsiasi o i tortellini preparati con un ripieno di carni di suini centro europei cotti in un brodo ricavato da carni bovine brasiliane non rappresentano nulla e non raccontano e rispettano il nostro territorio.

Tortelli ripieni di Parmigiano ReggianoTortelli ripieni di Parmigiano Reggiano

La stessa cosa vale per i vini. Quando ho iniziato questo mestiere trenta o quaranta anni fa c’erano pochi ristoranti che magari avevano una bottiglia di Pignoletto sui propri scaffali, adesso per fortuna ce ne sono di più perché il mondo è cambiato e si tende a bere un po’ più vini locali, anche perché in questo periodo la qualità è cresciuta significativamente. 

L’impegno etico di un cuoco e di un ristoratore che vogliono portare avanti la cucina bolognese dovrebbe pesare sempre di più con la consapevolezza che per rappresentare un territorio devi utilizzare le materie prime locali rispettando chi le produce. In questo modo si crea un indotto commerciale interessante che permette ai produttori, allevatori e viticultori di vivere e noi ristoratori insieme a loro. Solo così potremo consegnare i nostri nipoti un territorio migliore rispetto a quello che hanno fatto trovare a noi. 

Mi rendo conto che sia difficile convincere qualcuno che prepara determinati piatti a spendere il 50% in più per la materia prima, anche se questa è solo una delle voci che concorrono al costo del piatto. Quel piatto non arriva a costare il 50% in più se utilizzi materie locali buone. Potrà cambiare del 10-15%, dopo starà al ristoratore sviluppare una politica di ricarichi che lo portino essere equilibrato e competitivo.


In questo periodo che segue la pandemia, dopo un 2020 euforico e un 2023 che comincia evidenziando timori e preoccupazioni, molti cercano di accumulare marginalità che permetta di mettere “fieno in cascina”. Non è così semplice fare il nostro mestiere. Molti lo fanno solamente perché sono dei commercianti, non perché lo sentano veramente. Forse questa è la differenza. È un peccato perché anche i ristoranti commerciali in altre parti del mondo hanno sempre comunque rispetto e ricerca sul territorio. Sono convinto che se anche in Italia, come fanno in molti paesi esteri, tutti dichiarassero l’origine dei prodotti che concorrono alla costruzione dei piatti, nell’80% dei casi dovrebbero scrivere grandi nomi della distribuzione organizzata oppure Argentina, Brasile, Cina, e per il pesce Marocco, India, Thailandia. Forse viviamo un po’ di rendita rispetto a ciò che si racconta della cucina italiana.

Probabilmente questa narrazione riguarda la cucina italiana di casa e quella che si intende oggi per bolognese è sicuramente una cucina di casa, una cucina familiare, ma è proprio quella che ricerca chiunque venga a Bologna e al ristorante si aspetta una cucina di casa tecnicamente più avanzata. Questo è lo spirito che condivido con i colleghi delle Premiate Trattorie Italiane dove ogni trattoria è testimone orgogliosa del proprio territorio. 

Trattoria Da Amerigo 1934

Savigno – Valsamoggia (BO)
www.amerigo1934.it



foto di copertina Lido Vannucchi

a cura di

Bruno Damini

Giornalista scrittore, amante della cucina praticata, predilige frequentare i ristoranti dalla parte delle cucine e agli inviti nei salotti preferisce quelli nelle cantine. Da quando ha fatto il baciamano a Jeanne Moreau ha ricordi sfocati di tutto il resto.

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