Cerca

Premi INVIO per cercare o ESC per uscire

L’Angolino partenopeo di Antonello Rinaldi

10/07/2024

L’Angolino partenopeo di Antonello Rinaldi

A soli 300 metri dall’incantamento della stazione metro Toledo, in un angolo sorprendentemente silenzioso a dispetto del flusso turistico che invade quell’area di Napoli, c’è un ristorantino che mai avrei scoperto senza i consigli dell’amica Licia Granello, che si è fatta napoletana per elezione. Si chiama L’Angolino, e conta poco più di 30 coperti all’interno e poco più di 20 all’aperto, d’estate.
Antonello Rinaldi ne governa la cucina con destrezza partenopea, ben assecondato ai fuochi e in sala da collaboratori che si muovono con discrezione empatica. Cuoco autodidatta, profondo conoscitore del mare, non disdegna le carni di allevamenti campani semibradi di maiale nero Casertano, di pecora Laticauda e fa uso sapiente dei prodotti orticoli con le erbe spontanee che in Campania sono una manna del cielo. Privilegia la qualità della materia prima considerando la creatività una componente aggiuntiva ma non primaria. Grande è la sua predilezione per il pesce azzurro perché è quello che segue maggiormente la stagionalità. Lavora solo il pescato fresco, così il menù di oggi non è detto che sia lo stesso domani. 

Antonello Rinaldi, al centro, con la brigata di sala e di cucinaAntonello Rinaldi, al centro, con la brigata di sala e di cucina

All’Angolino ci arriva nel 2009 attraendo subito una clientela attenta alla qualità nelle preparazioni, liberi professionisti, docenti universitari, giornalisti, che cominciano a frequentare il locale col passaparola e vi creano una sorta di circolo conviviale.

Il locale, davvero intimo nelle dimensioni, gli permette di dedicarsi in modo esclusivo alla cucina stringendo rapporti con i piccoli pescatori locali che diventano i suoi fornitori privilegiati. Poi purtroppo arriva la pandemia, l’8 marzo 2020 l’Angolino chiude con il lockdown e sono incessanti le manifestazioni di affetto dei clienti che lo esortano a riaprire quel ristorantino dove si sentivano come a casa. Finché non si palesa una cordata di professionisti disposti a sostenerlo finanziariamente. Si arriva così a riformulare un contratto con la proprietà dei muri vincolato alla garanzia di permanenza in cucina di Antonello che accetta questa nuova sfida e ristruttura con gusto minimal il locale con l’aiuto della sua compagna restauratrice, per riaprire esattamente due anni dopo, ai primi di marzo del 2024.

Il suo punto di partenza è la tradizione napoletana con un’apertura verso il mondo, una cucina dai gusti netti e ben distinguibili, attraverso la quale ripercorre la propria vita sovrapponendo talvolta le esperienze fatte nel sud est asiatico e in Giappone.

La carta dei vini è volutamente contenuta, come il menù, ed esprime la sua predilezione per i rossi campani, a partire dal Piedirosso, dando comunque un giusto spazio ai bianchi locali di qualità con qualche puntata in altre regioni italiane e in Francia.

La cucina partenopea fa parte della tradizione familiare di Antonello Rinaldi, un patrimonio che si tramanda e si rinnova di generazione in generazione. È stato tirato su da sua nonna, che aveva 11 figli, assieme a quattro zie, così i suoi primi ricordi d’infanzia rimandano al profumo delle pietanze che cominciavano a cucinare ogni mattina. È così che ha cominciato a coltivare il gusto per il buon mangiare e un’educazione alla qualità degli alimenti che la nonna gli ha inculcato portandolo ogni giorno al mercato, assegnandogli affettuosamente il ruolo di assaggiatore mentre gli raccontava delle difficoltà affrontate in tempo di guerra, lei che aveva addirittura subito una condanna a sei mesi con la condizionale per “contrabbando di pane”, uno degli espedienti escogitati per dar da mangiare a tutti quei figli.

Il passaggio di testimone da nonna a nipote è avvenuto in modo spontaneo e graduale, mentre lei avanzava con l’età lui si prendeva il suo spazio in cucina, portando già nel sangue tutte le ricette della grande tradizione napoletana. 

Questa crescente passione si combina perfettamente con quella per la pesca subacquea. Ogni volta che andava in mare non tornava mai a mani vuote, pesci, molluschi, anemoni di mare, pensando già a che pietanze ricavarne. A forza di cucinare per gli amici, alcuni di loro lo convincono ad aprire il suo primo ristorante a Pozzuoli nel 1987. Mettono insieme un po’ di risparmi, affittano una casa sul lungomare e quello è stato uno dei primi insediamenti commerciali dopo che la popolazione era stata evacuata a causa del bradisismo. Lui, che aveva studiato all’Isef ed era professore di educazione fisica, senza alcuna esperienza di ristorazione professionale, viene destinato alla cucina, sostenuto e consigliato da Carlo Erba, preside dell’alberghiero di via Manzoni, con cui aveva stretto amicizia e che si rivela di grande aiuto.

Nel frattempo risponde a un annuncio sul giornale e inaspettatamente viene chiamato a seguire un corso per poi essere assunto come steward all’ATI, compagnia filiale di Alitalia per i collegamenti con il sud. A ogni suo rientro a Napoli torna in cucina per predisporre le linee a base di pesce. Gli scali quotidiani gli permettono di conoscere le cucine di tutta Italia e, mentre i suoi colleghi ogni sera mangiano in albergo per risparmiare, lui frequenta i migliori ristoranti, entrando in contatto con chef e continuando a studiare libri di cucina.

Dopo pochi anni passa in Alitalia, nei voli a lungo raggio, così a ogni scalo arricchisce le proprie esperienze gastronomiche, Hong Kong, Giappone, Thailandia, dove quando ha qualche giorno libero frequenta corsi di cucina orientale. 

Si avvicina anche al mondo del vino, partendo da zero, e comincia a prendersi cura di un vigneto di Piedirosso ad Arco Felice, Pozzuoli, due ettari di fronte al mare. Si butta a capofitto nello studio della vitivinicoltura, entra in contatto con l’Istituto di San Michele Appiano e impara tutto sugli innesti, fa analizzare il terreno e si presenta senza preavviso al Dipartimento di Agraria a Portici per chiedere consigli a Luigi Moio, professore ordinario di Enologia all'Università degli Studi di Napoli Federico II, studioso degli aspetti sensoriali, biochimici e tecnologici dell'aroma del vino, autore di centinaia di pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali. 

Mezzemaniche cozze e crema di zucchineMezzemaniche cozze e crema di zucchine
Polpo alla griglia crema di piselliPolpo alla griglia crema di piselli

Nel 2004 gli porta alcune bottiglie della sua prima vendemmia superando brillantemente l’esame perché il professore lo giudica fra i migliori Piedirosso mai bevuti.

Oltre al vino comincia la produzione di conserve e frequenta corsi di cucina creativa mediterranea con Luigi Pomata e Moreno Cedroni.

Collabora con importanti società di catering, entra in contatto con un imprenditore dell’alto casertano, titolare di un’azienda che si chiama Quercete, a San Potito Sannitico (CE). S’intendono al volo e questi gli offre un contratto di consulenza che prevede la gestione del personale, della parte agronomica, della lavorazione e trasformazione del maiale nero Casertano, della pecora Laticauda, dei derivati del latte nel caseificio aziendale. Si trasferisce a Teano dove dal 2005 al 2007 lavora a tempo pieno per l’azienda, occupandosi anche dell’acquisizione di alcune aziende agricole e portando avanti un suo personale progetto, Dely Chef, per la selezione di prodotti alimentari di alta qualità.

Ma il richiamo della cucina è troppo forte e il suo Angolino da lì a poco gli avrebbe aperto le porte.

 

 

 

Osteria L’Angolino
Vico Medina, 14 – 80133 NAPOLI
Tel. + 39
081 975 8578
Pranzo: dal lunedì al venerdì | Cena: Giovedì, venerdì e sabato
Chiuso domenica

 

a cura di

Bruno Damini

Giornalista scrittore, amante della cucina praticata, predilige frequentare i ristoranti dalla parte delle cucine e agli inviti nei salotti preferisce quelli nelle cantine. Da quando ha fatto il baciamano a Jeanne Moreau ha ricordi sfocati di tutto il resto.

Condividi