Pare che non sia così, perché troppe immagini di cibo, anche se ben preparato e impiattato, possono rovinare l’appetito. Nell’era delle immagini, dove accade solo ciò che è ritratto, ripreso in uno scatto fotografico e postato sui vari social, anche il cibo diviene oggetto di consumo virtuale. Da una ricerca condotta da alcuni docenti di marketing alla
Marriott School of Management della statunitense Brigham Young University, insieme a Joseph Redden, della University of Minnesota, su di un campione di 232 persone, risulta infatti che la sovraesposizione di immagini riguardanti il cibo può produrre un effetto di rigetto del cibo stesso.
Infatti questa ricerca testimonia che, come per le immagini porno, se si abusa della diffusione di scatti, che siano amatoriali o d’autore, si può ottenere l’effetto contrario e cioè di esaudire il proprio desiderio di cibo solo guardando le foto.
Il desiderio di consumo si esaudisce in questa sorta di voyeurismo, che allontana la volontà di consumare veramente. La ricerca ha diviso le persone in due gruppi, un gruppo è stato bombardato da immagini di cibo salato, mentre l’altro da immagini di dolci di vario tipo. Al termine della visione è stata offerta ad entrambi i gruppi la consumazione di uno spuntino salato, il quale è stato gradito solo dal gruppo che aveva visto le immagini dei dolci, mentre le altre persone risultavano poco propense all’assaggio.
Alcuni chef hanno già avuto la percezione del fastidio che provoca l’abuso delle immagini dei loro piatti pubblicate dai vari avventori, i quali, pur cimentandosi anche con le numerose app di ritocco fotografico a disposizione, si presentano quasi sempre come immagini amatoriali (con briciole sparse qua e la, posate fuori posto, impronte digitali sui piatti o sui bicchieri, ecc. ecc).
Ad esempio la chef
Antonella Ricci, del ristorante Al Fornello da Ricci di Ceglie Messapica, ci racconta che da tempo, in fondo al loro menù, compare la preghiera di non fotografare i piatti. “Ci mettiamo tanto tempo e impegno a preparare un piatto per l’uscita in tavola che vedere vanificato il nostro lavoro da una foto frettolosa e imprecisa, ci pare ingeneroso per noi e per chi come noi ha cura del proprio lavoro”.
Se proprio vogliamo individuare l’applicazione positiva della ricerca, questa sta nella disaffezione per il cibo che la visione delle immagini crea. Quindi per chi deve limitare il consumo di carboidrati, ad esempio, una cura a base di immagini piatti traboccanti di pasta potrà scoraggiarne l’assaggio.
Lucilla Meneghelli