Un’osteria o trattoria, che dir si voglia, può essere sperimentale o creativa? Oppure è inevitabilmente associata alla memoria, alla tradizione?
“Un’osteria può sperimentare e proporre piatti creativi, questi però devono avere come unico obiettivo il buono e mantenere, quanto più possibile, un qualche legame con il proprio territorio. In altre parole, le sperimentazioni che un’osteria, a nostro parere, si può concedere non devono essere finalizzate allo stupore del cliente o a portare avanti una riflessione su una tecnica, un sapore o una consistenza. Quella è materia adatta ai ristoranti di cucina creativa. Un’osteria, laddove decida di sperimentare, può giocare con nuovi accostamenti, nuove tecniche o prodotti ma sempre avendo come fine il gusto e l’immediatezza del risultato finale”.
Gli stranieri impazziscono per la cucina di territorio italiana, intendendo questo in termini di tradizione e semplicità. Eppure, a mantenere fede a questa identità restano le osterie e le trattorie: come si può fare a farle diventare autentico e riconosciuto patrimonio?
“Lavorandole bene, senza troppa retorica e finti romanticismi: la cucina semplice di territorio è il nostro più grande patrimonio e troppo spesso lo associamo a tovaglie a quadri, ferri di cavallo alle pareti e finte nonne. Non è (più) il tempo di raccontare storie, piuttosto quello di ragionare in maniera serissima raccogliendo testimonianze, documentazioni, cercando di spiegare a chi fa questa cucina che ci sono dietro un valore e una tecnica immensi, che non sono secondi alla cucina ‘degli chef famosi’. Così facendo anche i giovani - che giustamente cercano modernità e tendenze - avranno voglia di dedicarsi di più a ciò che è stato fatto prima di loro. Ma non possiamo chiedere a un giovane di voler essere una nonna, dobbiamo dargli modo di vivere tutto questo all’interno di un processo evolutivo. Se questo avverrà la qualità di questa parte di ristorazione italiana crescerà, esattamente come è successo nel mondo del vino con il ritorno alla terra di molti giovani. E questa qualità piacerà molto agli stranieri e a tutti quelli che cercano cucina di territorio, semplice, ma ben fatta e ben servita”.
In trattoria il rapporto tra cliente e cuoco è diverso, più attivo, con meno sudditanza: possiamo affermare che ci si riappropria del diritto di potere di scelta rispetto, che so, a menu degustazione infiniti e, a volte, improbabili?
“Sicuramente. In trattoria non si va per mettersi nelle mani di uno chef, ma per costruire il proprio modello di pasto, per ristorarsi in senso letterale. Non è un caso se molte trattorie non hanno il menu degustazione: noi pensiamo che non debbano averlo. Non fa parte di quella storia”.
Le materie prime rappresentano uno dei valori centrali della guida: come deve essere enfatizzato il rapporto tra produttore e oste?
“Come detto l’attenta scelta delle materie prime è un tratto che riteniamo centrale per le osterie contemporanee. Ciò premesso il rapporto che esiste tra l’oste e i suoi fornitori può anche non essere mostrato in modo esplicito, ma taciuto e messo in mostra solo attraverso la qualità stessa dei prodotti. Oggi moltissimi locali hanno al fondo del menù l’elenco dei fornitori: è certamente un’informazione importante ma non necessaria, soprattutto quando parziale o finalizzata al puro storytelling. Ciò che invece è davvero importante è che l’oste sappia enfatizzare il prodotto che sta utilizzando quando questo fa la differenza o quando è particolarmente significativo nell’economia del locale o del piatto. È importante anche che ci sia coerenza nella scelta delle materie prime e che questa coerenza venga enfatizzata. È, infatti, piuttosto inutile porre grande attenzione per qualche taglio di carne, per le verdure o per il pesce e poi dimenticarsi di questo aspetto quando si tratta di farina, olio extravergine, latte o uova. L'impegno nella scelta deve essere rivolto all’intera dispensa e non alla sua parte più visibile”.
Le materie prime povere, sinonimo di una cucina italiana popolare, stanno tornando sulle tavole dei ristoranti, in versioni ‘lussuose’; come giudicate questo percorso?
“È un percorso piuttosto normale, si tratta di ingredienti che hanno il vantaggio di essere poco noti e fortemente identitari e quindi estremamente adatti a diventare rappresentativi di un locale, soprattutto adesso che essere local è di grande moda. Non è quindi così importante guardare a cosa legittimamente i grandi ristoranti fanno, bisogna piuttosto auspicare che queste materie prime povere, che sono proprie delle tavole delle osterie, continuino a mantenere in quello che è il loro ambiente una natura popolare e non si snaturino diventando prodotti di nicchia o lussuosi”.