Negli ultimi quindici anni il vino italiano è stato protagonista di tendenze e di inversione di tendenze, alcune effimere, altre durature: tra quelle effimere vengono in mente gli espianti di vigneti bianchi che, per un paio di stagioni, subirono l’effetto resveratrolo del vino rosso. Nessuno voleva più bere un bianco. Tra le durature il fenomeno dell’enoturismo che, pur perdurando in molte situazioni eccellenti, generò qualcosa come 150 strade del vino nell’arco di pochi anni. Molte, la maggioranza, di queste che fine hanno fatto, oltre alla selva di cartelli che hanno ricoperto il bel paesaggio viticolo italiano?
Venne il tempo dei vini da tavola, alternativa ‘sicura’ al mondo delle denominazioni d’origine che tutto tiravano dentro. Poi ci fu la volta dei corsi da sommelier. Se non lo facevi, non eri nessuno nella comunità abituale degli amici. Infine fu il momento di gloria del biodinamico…
Adesso, vini freschi, leggeri, naturali, accessibili sembrano essere la nuova parola d’ordine. Una sorta di ritorno alla normalità con cui si deve approcciare al consumo del vino, finalmente.
Tutte azioni assolutamente legittime, alcune meritevoli, ma che mettono in evidenza un’attitudine nel procedere a vista che non offre un’immagine identitaria del vino italiano, pur nelle sue specificità. Soprattutto non offre una visione chiara di dove si vuole e si può andare, con un progetto di sviluppo serio di quella che, stando all’incrocio dei dati più recenti, rappresenta una delle voci importanti del patrimonio agroalimentare italiano, soprattutto per l’export.
Stiamo parlando di 2,5 miliardi di bottiglie di vino italiano in giro per il mondo, per un valore di 3,9 miliardi di euro. Complessivamente il settore vale, nel 2010, 13,5 miliardi di fatturato, 1,2 milioni di addetti e 770.000 aziende. Praticamente 1,5 persone per azienda. Forse sta proprio qui il nocciolo del problema: una tale frammentazione impedisce un grande sviluppo. È stato sostenuto da autorevoli parti, Antinori e Mediobanca in testa, che il problema vero è la troppo frammentazione e la scarsa capacità del mondo del vino di fare reddito.
“Servono misure di politica economica atte a far aumentare il potere d’acquisto e la qualità delle aspettative sul futuro: riduzione tasse, crediti d’imposta, aiuti su debiti e mutui, liberalizzazione dei servizi, ecc… - è la riflessione di Francesco Cucurullo, giovane imprenditore siciliano della cantina Masseria del Feudo, 80.000 bottiglie, con una quota di export del 30% - L’export, che oggi rappresenta una specie di ancora di salvezza del vino italiano, deve essere letto in positivo perché aumenta la conoscenza del nostro vino in altri Paesi e, quale elemento di cultura oltre che bevanda, si identifica con i nostri territori e con le nostre antiche tradizioni, contribuendo a diffondere in tutto il Mondo un’immagine positiva dell’Italia. Ma diventa un male se le aziende spostano l’attenzione sull’export per ridurre le scorte, trascurando il mercato italiano dove c’e’ tanta confusione di etichette e poca comunicazione mirata. Il rischio è che, alla lunga, il consumatore privilegia soltanto il prezzo quale motivazione di acquisto a scapito di chi fa qualità e valorizza il proprio territorio”.
Ma cosa piace del vino italiano agli stranieri?
“Storia, territorio e riconoscibilità di un prodotto. Gli stranieri vogliono chiudere gli occhi e riconoscere un vino ed un territorio dalle sensazioni e dalle emozioni che questo genera, non vogliono ritrovare gusti omologati che possono riscontrare in mille altri luoghi. – sostiene Andrea Cabib, direttore commerciale di Castellare, la tenuta toscana dell’editore Paolo Panerai – Per questo credo anche che sia più facile (o meno difficile) crescere all'estero e quindi molte aziende medio piccole puntano molto sull'export. Ma per diventare un brand forte, ritengo sia fondamentale essere forte nel paese di origine, altrimenti si corre il rischio di non avere alcuna riconoscibilità. Per questo è importante, nel nostro Paese, riuscire a fare cartello fra i grandi produttori e far capire un po’ di cose ai politici italiani; ad esempio che non si può massificare il consumo del vino con un consumo generico dell'alcool…rendere uguali il ragazzino che si ubriaca in discoteca con la compagnia di amici che degusta un buon vino......meno terrorismo e più educazione”.
Tra i primi vini ad affermarsi sul mercato estero fu il Lambrusco, per lungo tempo liquidato in Italia come ‘vinello’ ed amato, per la sua freschezza, sul grande mercato straniero. Oggi, anche in Italia, si torna finalmente ad apprezzare vini freschi e di abbinamento equilibrato al cibo.
“Il Lambrusco sta recuperando la stima e l'apprezzamento che si devono a un grande vino. Dico questo perchè produrre Lambrusco DOP e/o IGP richiede impegno e competenza. Il buon momento che sta vivendo in questo momento il Lambrusco, sui mercati nazionali ed esteri, non nasce per caso, ma è frutto dell'attività imprenditoriale che ha investito risorse economiche, tecnologiche e umane mediante il rinnovo colturale dei vigneti e l'ammodernamento tecnologico degli impianti di trasformazione. - afferma Ermi bagni, direttore del Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi - Il Lambrusco è un vino che piace al consumatore per una serie di motivi: dalla facilità di abbinamento con i cibi, al moderato grado alcolico, alla fresca fragranza dei profumi, al favorevole rapporto qualità/prezzo. Il progressivo calo del consumo procapite di vino impone alle aziende di incrementare la presenza commerciale sui mercati esteri, dove i competitori sono maggiori e non si fanno prigionieri. In tale situazione ritengo che il consumatore si troverà a scegliere tra un prodotto pubblicizzato e quello che esprime un territorio, un'origine (DOP&IGP)”.
Contrazione di consumi interni e boom dell’export restano il leit motiv di questo 2011 vinicolo, ma nei consumi interni si fa strada anche una situazione particolare che vede, ancora una volta, lo Champagne protagonista.
“Alcuni prodotti non conoscono crisi. Bollicine in primis. Il mercato richiede, fortunatamente, e specificatamente champagne. Si riconosce a questo vino il fatto di essere 'eccellenza'. Un’esigenza data dalla maggior conoscenza dei clienti, che attentamente valutano e scelgono con pertinenza le cuvées. Così, vicino alle etichette delle Maisons più famose, vengono richieste quelle di Vignerons,che donano completezza al concetto di Terroir.” conferma Paola Furlan, produttrice italiana di Champagne a marchio Villa Elena, con terreni di proprietà nel cuore della regione francese.
Tra pochi giorni lo scenario si farà più chiaro. Il grande popolo dei cultori del vino si ritroverà a Vinitaly, davanti all’offerta di 4.000 espositori da tutto il mondo. La sensazione è che si faccia largo, anche nel vino, l’insostenibile leggerezza dell’essere.
Luigi Franchi