Nei 150 anni di Repubblica italiana “abbiamo assistito ad un calo dei consumi degli alimenti che rappresentavano derrate alimentari come il risone, segale e orzo, granturco, legumi secchi, frutta secca, il vino e le carni ovine e caprine, per orientarsi verso una dieta che ha visto fortemente aumentare gli ortaggi a partire dal decennio 1961-70 quando si riscopre la dieta mediterranea”. A delineare l’evoluzione del regime alimentare degli italiani è Aida Turrini, ricercatrice Inran (Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione), in occasione dell’incontro ‘L’orto e la tavola, storia e cultura nell’alimentazione italiana promosso da Inea (Istituto nazionale di economia agraria) alla Città del gusto. Le carni, ha precisato, aumentano in media tra il 20% e il 50% per decennio, insieme a frutta fresca e pomodori. E a parte la birra che ha uno sviluppo fortissimo soprattutto dagli anni ’70, gli altri alimenti animali (pesce, latte e formaggi e carne suina) e beni più voluttuari come caffè e zucchero dagli anni ’50 in poi registrano un aumento che supera il tasso medio decennale del 50% e oltre. Nel dimenticatoio sono invece finiti il caffè di cicoria e l’alcool anidro. “Nell’arco di 150 anni – ha detto Turrini – risulta evidente una diminuzione dell’importanza dei carboidrati, a favore dell’aumento del contributo percentuale dei grassi e delle proteine, e una perdita di importanza della componente vegetale a favore della componente animale delle fonti di energia”. Tuttavia, è stato sottolineato nell’incontro Inea, nella storia italiana del 20/o secolo, l’orto è sempre stato presente e sotto facce molteplici. La usa presenza nei ricettari, da Pellegrino Artusi ad oggi, ha assicurato, come sottolineato da Alberto Capatti dell’università di Pavia, dapprima l’istruzione, con i volumi di Ingegnoli del 1895 su ‘come si cucinano i legumi’, poi la sopravvivenza (orti di guerra), poi anche uno strumento di lotta al carovita, e oggi uno strumento di valenza etica ed ambientale, la rete di orti che trova espressione anche nelle utopie dell’orto da balcone o nel Km zero. “Una concezione di orto ‘vitale’ – ha ricordato Capatti – che nasce col fascismo che, nel 1928, finanziò l’Associazione naturista d’Italia considerando l’ambiente una risorsa primaria per la salute e gli orti, che venivano affittati anche nelle periferie delle città, un bacino d’aria pulita”. Conoscere la storia della nostra tradizione alimentare, ha concluso Francesca Giaré dell’Inea, serve a cancellare falsi miti come quello ‘un tempo si mangiava meglio’. Oggi si conserva meglio il cibo, si mangia tutti (ogni ceto sociale), e la dieta é più salutare, in linea con le esigenze di vita più sedentaria. Ma è spesso la tradizione e la cultura a rendere tipico e a dare identità nostrana ad una pietanza, ancor più della mera provenienza del cibo.