Aleggia da qualche tempo l’idea di una nuova offerta formativa nel panorama delle scuole secondarie di secondo grado: il Liceo del gusto, che non bisogna pensare come una rivisitazione dell’istituto alberghiero, essendo stato concepito per tutt’altro target, come vedremo.
Affronteremo questo tema con delicatezza, trattandosi di bozza progettuale, che merita, a nostro avviso, di essere attenzionata per la serietà dell’approccio e per il consenso nonché contributo che ha saputo raccogliere, in termini di contenuti, ad opera di più parti sociali. Una vera e propria rete di soggetti che ci sta credendo.
Chiariamo che non è nostra intenzione entrare troppo nei dettagli perché c’è chi, il Ministero dell’Istruzione (MIUR), dovrà esprimere una sua valutazione in merito.
Ci piace tuttavia mettere in luce una sana intraprendenza, che parte proprio dalla scuola.
Ebbene, sappiate che quanto stiamo per illustrarvi è nato sulla scrivania di un dirigente scolastico, prontamente supportato, in prima istanza, da alcuni docenti del proprio istituto poi da un nucleo di colleghi, per arrivare un coinvolgimento del sistema in senso più ampio.
Nessuna presunzione ma la sola volontà di fare bene il proprio lavoro, come prevede l’articolo 11 del DPR 275/99, che regola il funzionamento degli istituti superiori, secondo cui una scuola o una rete di scuole ha facoltà di proporre sperimentazioni di corsi.
Ne parliamo con Pietro Rapisalda, dirigente scolastico dell’istituto JB Beccari di Torino, da cui l’idea è partita, e coordinatore della nutrita rete che si è creata intorno al progetto del Liceo del gusto.
Come nasce l’idea di un Liceo del gusto?
“Nasce dal rilevare che, a fronte della sempre maggiore importanza che la narrazione del cibo sta assumendo in questi anni, in cui è divenuta sempre più oggetto di professione, non esiste, in ambito di scuola secondaria di secondo grado, un percorso formativo deputato a questo. Da qui si è fatta strada l’idea di elaborare una proposta di sperimentazione didattica – dove le parole chiave siano comunicazione e gusto - che dia una preparazione ad ampio spettro, liceale, capace di indirizzare, pur senza vincolare, verso l’ambito comunicazione del food & beverage. Un percorso destinato quindi a chi ha un obiettivo formativo a lunga scadenza, cioè che guarda a un post diploma secondario o all’Università, e non a chi a chi cerca un impiego immediato, come accade nella maggior parte dei casi negli istituti alberghieri.
Ci racconti il percorso che avete strutturato, partendo dai primi passi.
“Dopo che ho iniziato a lavorare all’idea insieme ad alcuni miei docenti, ho incontrato l’entusiasmo di alcuni colleghi, cinque per la precisione, che si sono detti ben felici di darci anche il loro contributo. Abbiamo iniziato così, circa un anno e mezzo fa, a collegarci anche da remoto, per dare una prima forma a questa nuova proposta. Ma se è vero che a noi scuole è concesso di sperimentare corsi, come esplicita il DPR 275/99, ci siamo detti che il coinvolgimento di altri istituti, per essere sperimentazione, doveva essere limitato. Abbiamo pensato quindi di coinvolgere un istituto per regione, due in alcuni casi. Inoltre abbiamo riflettuto sul fatto che se questo percorso deve preparare gli studenti a corsi post diploma secondario di secondo grado o corsi di laurea specifici, era bene che ci relazionassimo con queste strutture per capire cosa ne pensassero. L’altissimo livello di interesse che abbiamo registrato ci ha portato a proporre loro una collaborazione reale, che si è materializzata nell’adesione formale alla Rete (firmato un accordo di Rete) e nel mettere a disposizione, ciascuna struttura, un docente che partecipasse attivamente alla stesura del quadro orario. L’aspetto interessante è che anche nel mondo produttivo è giunta notizia di questa nostra iniziativa, per cui ci sono grandi aziende/consorzi del settore agroalimentare che hanno voluto loro pure entrare nella Rete”.