Il Global Food Forum del dicembre scorso, presso il Parlamento Europeo a Bruxelles, ha definito le parole chiave dell’agroalimentare prossimo futuro: benessere, salute, trasparenza e sostenibilità. Per un’azienda come Olitalia cosa significano queste parole in termini di strategia?
“Per quanto riguarda la salute noi vendiamo un prodotto, l’olio extravergine d’oliva che può essere definito il grasso nobile della dieta Mediterranea data la presenza di polifenoli, sostanze ad attività antiossidante, e di acido oleico. La sua assunzione con la dieta nelle giuste dosi e, dico nelle giuste dosi perché l’olio extravergine d’oliva è un grasso, seppur di grassi monoinsaturi, e quindi va assunto in maniera corretta. Molti studi, in particolare la FDA, fissano in 20 grammi (due cucchiai circa) la dose giornaliera di olio ad alto contenuto di acido oleico, come gli oli d’oliva, per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, certamente un aiuto per tutelare il proprio benessere e la propria salute. Queste informazioni stanno crescendo pian piano tra le persone in Italia, ma qui c’è una prima contraddizione che vede la cultura dell’olio diffondersi più rapidamente nei paesi che non lo producono rispetto a quelli produttori. Una cosa da capire, ma che ha limitato fortemente la crescita dei consumi in questi anni. Molto c’è da fare, partendo dal fatto che tanti anni fa l’olio era utilizzato principalmente per integrare le calorie. Quindi c’è ancora molto da comunicare su questo prodotto, l’olio extravergine di oliva che, ottenuto attraverso spremitura meccanica e non raffinazione e che nel mondo degli oli ha una valenza importantissima, rappresenta ancora una percentuale ridicola, il 4% circa, nel consumo totale di grassi tra cui burro e margarine. Le difficoltà che noi, e tutte le aziende olearie, riscontrano è che la comunicazione, i claims, che si possono utilizzare, autorizzati dall’EFSA, sono incomprensibili per il consumatore finale. Ad esempio noi abbiamo un olio extravergine ricchissimo di polifenoli, ma non possiamo descrivere in etichetta le proprietà salutistiche con un linguaggio alla portata del consumatore medio. Con il nostro Comitato Scientifico, composto da Silvio Greco, Francesca Marino, Pierluigi Zinzani, stiamo lavorando per cercare di proporre claim in grado di dare più efficacia agli aspetti salutistici dell’olio extravergine d’oliva. Contenuti concreti e non semplicemente questioni di marketing e di etichetta. Questo per quanto riguarda benessere e salute. Trasparenza e sostenibilità, nella nostra azienda, significano una filiera super controllata, che parte dagli agronomi impegnati sui campi, in Italia e all’estero, fino all’arrivo in azienda. L’olio extravergine, oltre alle analisi chimico-fisiche di qualità e genuinità deve essere sottoposto all’approvazione in panel-test formato da assaggiatori professionisti, oltre ai controlli di routine che vengono effettuati dalle ASL e dagli organismi ufficiali di controllo. Contiamo almeno 270 controlli ufficiali in un anno, quasi uno ogni giorno, e siamo sufficientemente bravi da superarli tutti. Sulla sostenibilità abbiamo attivato, da due anni, il progetto Plastic no more. Non a caso si chiama così perché noi non siamo per dire no alla plastica, che ormai fa parte della nostra vita, siamo per non utilizzarne più del necessario, per farne un uso duraturo negli oggetti. Abbiamo iniziato un processo che riguarda la sgrammatura delle bottiglie e dei film di imballaggio. Inoltre, con Coripet, stiamo attivando il riciclo del Pet, attraverso una filiera che garantisca che quella plastica arrivi da imballi alimentari”.
Parlando di filiera qualcuno sostiene che, com’è intesa adesso, sia una sorta di ferrovecchio, perché se non si coinvolgono davvero tutti gli attori (logistica, packaging, trasporti ecc…) non si riuscirà mai a definire, ad esempio, il prezzo giusto dell’olio in Italia. Cosa ne pensi? Come si può definire il prezzo giusto dell’olio extravergine?
“Il problema vero non sono gli attori della filiera ma il confronto tra l’olio italiano e quello dei paesi comunitari, la Spagna in particolare. I costi di coltivazione di un uliveto sono profondamente diversi; in Spagna le produzioni sono aumentate del +140% in pochi anni, arrivando ad essere il primo paese produttore con 1.500.000 tonnellate di olio d’oliva all’anno (dati ultima campagna), rispetto all’Italia che è calata del 36%, arrivando a produrre 304.000 tonnellate. Inoltre, la Spagna ha una conformazione del suolo favorevole, dove è possibile organizzare una raccolta meccanica con pochissimo personale, in Italia questo non è quasi mai possibile, anche se il nostro paesaggio olivicolo è molto più bello. Da qui il prezzo molto più basso, che fa una differenza sostanziale. Noi non siamo per il 100% italiano come l’olio migliore di tutti, per noi l’olio extravergine è tutto di qualità. In Italia abbiamo un patrimonio di 538 cultivar, mentre in Spagna le cultivar sono molto inferiori. Anche questo diventa un problema, di conoscenza e di mercato, perché non abbiamo la forza, come olio italiano, di affrontare i mercati globali. Gli oli a Denominazione d’Origine Protetta (DOP), molto spesso negli ultimi anni, non sono in percentuale produttiva tale da affrontare un mercato più grande di quello del territorio. Non nego che la biodiversità sia importante, soprattutto per la valorizzazione di un territorio, ma spesso è anche un problema. Sono necessarie politiche serie d’investimento in campo olivicolo, sono necessari nuovi impianti, nuove piante rispetto ad un patrimonio che è vecchio e nuove generazioni ad occuparsene. L’olivicoltore italiano ha una media di 58 anni. In tutto questo diventa estremamente difficile stabilire un prezzo giusto e democratico perché un olio che costa più di un altro non significa automaticamente che sia di qualità. La nostra capacità italiana sta nel saper fare dei blend, con oli extravergini italiani e comunitari a garanzia di qualità e costanti dal punto di vista sensoriale e aromatico.Poiché il consumo in Italia supera di gran lunga la produzione, dobbiamo per forza avvalerci anche di oli extravergini di altre aree geografiche. Un blend che abbia sempre le medesime caratteristiche organolettiche è il futuro dell’extravergine. Il clima sta cambiando e, con esso, anche le produzioni: le caratteristiche organolettiche di una cultivar come ad esempio l’Ogliarola, per esempio, possono essere diverse da un anno all’altro e questo si ribalta sulla cucina di un ristorante perché cambia anche il gusto al piatto. È da questa analisi che siamo partiti per dare vita alla nostra linea de I Dedicati, oli extravergini realizzati in collaborazione con gli chef europei di JRE; si tratta di blend ideali per l’utilizzo sulle carni, sul pesce, sulle verdure e sulla pasta, con caratteristiche organolettiche e sensoriali sempre identiche, ad ogni produzione ”.