Milano si vanta sempre di esser accogliente e posso testimoniarlo anch'io che ci vivo da qualche lustro pur non essendoci nato. La città, ormai è ineluttabilmente avviata verso la multietnia, bastino le
192 comunità registrate e il 30% di bambini di origine non italiana che frequentano le scuole, soprattutto materne e primarie. Insomma un processo inarrestabile che riempie la piccola metropoli di nuove energie. Tutto ciò si rispecchia anche nella ristorazione che a partire dagli anni '70 ha cominciato piano piano a riempire gli spazi che venivano lasciati vuoti dagli esercizi autoctoni.
É successo anche a noi tra la fine del secolo XIX e l'inizio del XX nelle Americhe, quando l'attività più semplice da impiantare lontano da casa è sempre quella ristorativa, un'esigenza dettata un po' dalla volontà di mangiare i propri gusti, un po' dall'arte di sapersi arrangiare in un mestiere conosciuto. Così, un po' per la nostra curiosità, un po' per la loro necessità, negli ultimi decenni Milano apre le porte a innumerevoli attività di
ristorazione etnica e, nel tempo, l'offerta si affina a tal punto da poter vantare alcuni tra i migliori ristoranti cinesi, giapponesi, libanesi, africani, thailandesi, e così via.
Fin qui abbiamo narrato quella parte di mondo che si è affacciata a Milano nell'arco di 50 anni, secondo vie migratorie che possiamo definire normali. Milano, però, è un punto di riferimento anche per un altro tipo di accoglienza quella più importante, quella dell'emergenza di chi non viene in Italia solo per una migliore aspettativa di vita, ma perché è costretto a fuggire e da noi trova un luogo famigliare, sereno, fatto di persone che donano il proprio tempo per gli altri.
I casi sono tanti, la città pullula di volontariato e di esempi positivi, oggi, però ne raccontiamo uno che riguarda da vicino il nostro mondo, la ristorazione, anzi, ristorazione e catering, in omaggio al titolo della nostra testata.
Da qualche settimana, dopo un rodaggio tra amici e una formazione adeguata sotto il profilo normativo sul
mercato del catering milanese c'è un nuovo protagonista: si chiama
M'ama Food.
Tutto nasce da una
comunità d'accoglienza (Farsi Prossimo) dedicata a donne che godono dello status di rifugiate, perché provenienti da nazioni in guerra o per motivi politici, vittime, comunque, di ambienti dove la violenza fisica e psichica è quotidiana.
Due volontari propongono un'attività che possa fornire, attraverso un momento di convivialità, un'occasione per stare insieme, per condividere le diverse culture nella forma più semplice, quella del cibo. L'idea entusiasma e dopo le prime prove si capisce che può esser molto di più che un esercizio per “fare gruppo”, così è facile pensare a sviluppare un progetto di vero e proprio catering.
Il nome è evocativo due volte: M'ama Food. M'ama, come verbo che indica l'atto amorevole di una persona che cucina per te, m'ama che ricorda, in tante lingue del mondo la parola mamma, la prima che ci procura il sostentamento.
La cucina, anche italiana per non limitarsi ad un menu solo etnico, racconta, nei suoi piatti più rappresentativi, i colori ed i sapori di terre lontane, rappresenta le storie di donne che hanno visto e vissuto sofferenze devastanti, ma che vogliono riscattare l'immagine di popoli che altrimenti ricordiamo solo per le cronache negative. Le cuoche vengono da molti luoghi diversi, dipende dalle situazioni di maggiore crisi, oggi prevalentemente dal corno d'Africa, così le pietanze risentono di questa provenienza.
Un valore accomuna tutte e da ancora più importanza all'opera avviata da questa comunità: la consapevolezza che il cibo è sacro, una cosa che si comprende meglio quando si vivono guerre e povertà, un rispetto spontaneo, rigoroso che per noi diventa un modo per imparare, conoscere, scoprire.
Per informazioni:
www.mamafood.it
Aldo Palaoro
(Fotografia per gentile concessione di Fiorenza Auriemma)