In questa cena hai preso per mano chi era seduto a questo tavolo e lo hai accompagnato a scoprire la cucina di Maurizio, rendendo tutto fluido, ancora più spontaneo. Come fai?
“Sono figlio della strada, e da questo mio trascorso ho tratto tanti insegnamenti. Apparentemente non c’entrano nulla con il mio lavoro, ma possiamo scavare in profondità.”
Bene. Vorrei saperne di più. Qual è la relazione tra il tuo percorso di vita e l’abilità di servire un cliente, e nello specifico di proporgli un vino?
“L’empatia. E te lo dico senza pensarci su due volte. Fin da piccolo ho imparato a conoscere, a studiare l’altro, ad osservare. Poi ho sviluppato la capacità di interpretare un pensiero, un desiderio. E, infine, di tradurlo in qualcosa di concreto, in un gesto, in una scelta. In questi anni, e qui mi riferisco alle scelte enologiche, sto seguendo strade inconsuete e non convenzionali. Faccio delle scelte. Perché? Perché allargando il campo da cui posso attingere amplio le possibilità di interpretazione e l’opportunità di “parlare” con più clienti”.
È sempre capito questo approccio?
“No, non è così semplice imporsi con una scuola di pensiero diversa. Anche quando ho messo piede qui alla Terrezza sul Mare dire il vero. Cambiare improvvisamente registro, puntare su aziende più piccole, su prodotti diversi, chiedere un budget più consistente per avere più profondità di assortimento… insomma, uscire dal coro e imporsi con personalità: tutto questo non è mai una passeggiata per un sommelier.
Ma sono soddisfatto di ciò che portato qui in questi anni. Propongo vini “puliti”, che raccontano il territorio, i territori, e danno voce a chi lavora in un certo modo. E li propongo con cognizione di causa, dopo aver capito chi c’è seduto al tavolo”.