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Mi chiamo Mortandela e vengo dal Trentino

09/04/2020

Mi chiamo Mortandela e vengo dal Trentino

Ha la forma di una polpetta
schiacciata; è un salume ma non è un insaccato; ogni famiglia o macelleria
tradizionale ha la sua ricetta gelosamente custodita, perché la Mortandela (con
la n) è un prodotto contadino storico e la sua produzione è limitata all’area
della Val di Non in Trentino, nelle zone dell’Alta Anaunia.

Nasce come alimento rurale in
un’epoca in cui ogni famiglia comprava un maialino per la festa dei Santi e lo
nutriva un anno intero per poi macellarne la carne e utilizzarne ogni parte,
allo scopo di ottenere una scorta di alimenti per l’inverno, come si è sempre
fatto in ogni campagna: tradizioni antiche che ci oggi ci tramandano specialità
uniche.

Del resto, il vecchio detto
“del maiale non si butta nulla” vale in ogni zona d’Italia e per gli antichi
abitanti del Trentino Alto Adige – rudi e parsimoniosi - questa è una verità
sacrosanta.

È un salume particolare,
unico nel gusto e nella forma e il suo nome – Mortandela - deriva dal fatto che
un tempo la carne di maiale non si macinava ma si pestava nel mortaio.

In origine, l’impasto si
ricavava mescolando insieme le parti meno nobili del maiale, quelle che
restavano dopo aver terminato altre lavorazioni come lo speck o la pancetta:
lingua, fegato e coppa del collo. Oggi si utilizzano parti più nobili come la
coppa, la spalla, parti della pancetta e della coscia. Snervate, disossate e
macinate vengono profumate da una miscela di spezie e forgiate manualmente,
come polpette di 2 etti circa.

La ricetta tradizionale prevede che si passino nella farina (di mais o grano
saraceno) e si mettano ad asciugare su assi di legno, prima di procedere
all’affumicatura naturale con bacche di ginepro per almeno 12 ore a una
temperatura di 25°C circa da entrambi i lati, e a stagionare per un periodo variabile
da una settimana a una trentina di giorni.

Oggi, alcune macellerie
preferiscono avvolgere le Mortandele nel retino di maiale (omento) invece di
asciugarle nella farina, per questioni di praticità. 

Il
sapore della Mortandela deve essere equilibrato, il gusto delle spezie si deve
percepire in maniera delicata, mai invadente. Le note affumicate
devono essere piacevoli e la carne non deve presentare nodi, cartilagini e
parti coriacee.

La versione fresca, leggermente scaldata, ben si accompagna alla polenta o alle
verdure cotte. Si può anche cucinare alla griglia o aggiungere a tocchetti ai
crauti o alle zuppe di legumi e cereali.

La versione stagionata si gusta a crudo insieme ad altri salumi o a formaggi
locali e un buon pane di segale: ottima con i tipici tortéi da patate – frittelle di patata – insieme a vini locali come
il Nosiola Doc o il più tipico Groppello di Revò Igp, un vitigno autoctono
presente nella val di Non fin dal XVI secolo di cui negli ultimi anni si è
ripresa la coltivazione d’altura che rischiava di scomparire.

Marina Caccialanza

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