Questo sistema di coinvolgimento implica anche una responsabilità diversa da parte dei collaboratori. Questo avviene sempre o c’è un percorso perché questo avvenga?
“Deve sicuramente esserci un percorso, nel senso che deve esserci la conoscenza. Non possiamo certo pensare che il lavapiatti o il cameriere sappiano o vogliano leggere un bilancio. Va spiegato che quello che si fattura non è il guadagno, quindi organizziamo dei corsi, a cui aderire volontariamente, anche per queste cose. Sono azioni extralavorative che servono a crescere: corsi di contabilità, o di tedesco, oppure la possibilità di frequentare un corso di Donna Letizia, di bon ton, per spiegare che i gomiti sul tavolo non si mettono. Poi ne faranno ciò che vogliono, ma noi abbiamo il dovere morale di dare queste possibilità di conoscenza a tutti. Poi ci sono le regole, perché l’uomo può essere, al contempo, più di un angelo e meno di una bestia, quindi va educato. I nostri collaboratori, ad esempio, possono utilizzare le piscine e gli spazi comuni dell’hotel, ma con regole uguali a quelle per gli ospiti stessi”.
Quelli che non partecipano a queste attività sono penalizzati?
“Bella questa domanda. Ovviamente no, però quelli che partecipano ai corsi, e ne facciamo tantissimi di ogni tipo, sono premiati e acquisiscono dei punti che, a fine stagione, si tramutano in premi. E poi non dipende solo dal collaboratore, bensì dal caporeparto incentivare la frequentazione, che va spronato dal direttore che, a sua volta, va motivato da chi sta a capo dell’azienda. Quindi la colpa è sempre mia se qualcosa non funziona come dovrebbe. Ci sono anche corsi obbligatori, come quello del buon vivere, perché da questi insegnamenti si dà esempio anche all’ospite. Lo facciamo perché viviamo in una comunità, siamo in 180 che lavorano qui e se uno si comporta bene rispetta la libertà altrui”.
Tutto questo lo fate per collaboratori che magari, alla prossima stagione, vanno a lavorare da altre parti. Il limite dell’imprenditoria italiana sta proprio in questo: non fare formazione perché si ha il timore che altri la usino. Per voi questo rappresenta un problema?
“lo dico sempre ai collaboratori che le cose che facciamo non sono solo per il bene dell’azienda, ma per loro stessi. Io ci credo nell’uomo che deve comportarsi bene; come dice Leibnitz, lo facciamo per il bene dell’umanità, per il successo dell’azienda Italia. Fallo per te, racconto, perché un giorno aprirai un tuo ristorante, una tua pizzeria e questa conoscenza ti tornerà utile. Qualche tempo fa ho parlato con Ricardo Levi, presidente dell’Associazione Editori Italiani, che conosco bene fin dai tempi in cui presiedevo l’Unione Ladina delle Dolomiti, che denunciava la mancanza di conoscenza e l’imprenditore che non si evolve tramite il sapere non sopravvive oltre una generazione”.