In questi giorni, secondo gli esperti di statistica delle Nazioni Unite è nato l’otto-miliardesimo abitante del pianeta Terra. Un dato sul quale non si può sorvolare perché implica una moltitudine di riflessioni: il 10% di queste persone vive in condizioni di povertà assoluta, con 1,25 dollari al giorno; 800 milioni sono denutrite e 1,3 miliardi obese; produciamo alimenti per 12 miliardi di persone ma oltre un terzo di quello che viene prodotto va buttato via, sprecato nei campi, lungo la filiera logistica, nelle pattumiere di casa.
Contraddizioni assurde se collocate in una società, come quella attuale, che ha sviluppato intelligenza a tutti i livelli. Eppure viviamo ancora, nel cuore dell’Europa, con una guerra assurda, medievale, che, oltre a distruggere migliaia di vite innocenti, gioca un ruolo rilevante sul futuro del mondo, soprattutto in quelle zone dove anche un chilo di grano diventa una ricchezza immensa perché lì vige la povertà più estrema unita ad una demografia in costante crescita: l’Africa!
In quella subsahariana, in pieno boom demografico, sono collocati il maggior numero degli ultimi della Terra: popolazioni esauste per la violenza che subiscono ogni giorno, carestie come quella che sta per scoppiare in Sudan, diventano indicatori di quanto sia urgente una politica seria per l’immigrazione, per il clima e anche, non per ultimo, per il cibo.
Si parla molto di sostenibilità, a volte a sproposito, ma descrivere una produzione sostenibile oggi è più che mai necessario se vogliamo davvero cambiare le politiche che si muovono attorno al cibo: produzione sostenibile significa fare in modo che ciò che sfruttiamo oggi possa essere sfruttato anche dalle generazioni future, quindi basta distruggere i suoli con i pesticidi o con il cemento, è necessario un modello produttivo che tenga conto di un principio fondamentale: che non è l’uomo a dominare il pianeta.
Cominciamo da qui, dal prendere consapevolezza che noi siamo gli abitanti e non i possessori del pianeta Terra! Anche se siamo in otto miliardi!