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Non morirò di fame! E dico no allo spreco, non solo alimentare

02/03/2023

Non morirò di fame! E dico no allo spreco, non solo alimentare

È lo “spreco”, nel senso più ampio del termine, il vero protagonista del film Non morirò di fame del regista Umberto Spinazzola, nelle sale cinematografiche di Milano e Torino in questi giorni.


Lo spreco di una carriera: il protagonista Pier - uno chef stellato caduto in disgrazia – interpretato dall’attore Michele Di Mauro con profonda sensibilità, conquista la sua libertà come uomo e come professionista dopo un doloroso percorso di rinascita; lo spreco dei rapporti affettivi tra membri di una famiglia, che si allontanano, si cercano, si ritrovano con fatica e intensità, come Pier e sua figlia Anna; lo spreco di esseri umani in quanto risorse, come l’anziano clochard interpretato da Jerzy Stuhr, artista e un po’ filosofo caduto in miseria, che aiuta il protagonista a riscoprire il suo talento; lo spreco di cibo, enorme, ingiustificato, straziante nelle cucine dei ristoranti, nei magazzini dei supermercati, soprattutto, nell’indifferenza della mente e del cuore delle persone che non ne afferrano il drammatico significato. 

Una piaga sociale da combattere

Non morirò di fame, ambientato in una Torino evanescente, affronta un tema, quello dello spreco alimentare, che è diventato una vera piaga della società: dalla produzione allo scarto in un lampo, da un sistema basato sul consumismo sfrenato alla drammaticità di uno squilibrio sociale ed economico al quale è impellente porre un freno. L’abbondanza si trasforma in penuria (materiale e morale) quando le cucine di un ristorante, il retro magazzino di un negozio diventano discarica per cibi ancora perfettamente edibili di cui qualcuno si disfa incurante del fatto che altri ne sono privi, solo perché avanzati, imperfetti, non utilizzati. 
 

In questo scenario si muove Pier, in instabile equilibrio tra la ricerca di se stesso e il tentativo di recuperare un rapporto con la figlia adolescente; altalenante tra il desiderio di rivivere l’emozione dei fornelli e la sensazione di sentirsi pedina di un sistema crudele. 

Il valore del cibo, come alimento per il corpo e come nutrimento dello spirito, trova nella vicenda un riscatto profondo; andare a caccia di cibo tra i rifiuti, tra le rimanenze invendute, sul fondo di un baratro reale o immaginario, e con esso realizzare piatti da assaporare in condivisione con gli altri – condividendo il cibo e se stessi - diventa una missione e lancia un appello: riconquistiamo la nostra dimensione umana e non sprechiamo(la) più. Sprecare cibo vuol dire sprecare umanità, tornare a dare valore al cibo vuol dire dare valore all’essere umano.
 

Non morirò di fame non è un film triste, non è retorico, non è banale anzi: è un inno all’amicizia, all’inclusione, all’amore e all’ottimismo: ci dice con fermezza che un altro modo esiste, basta cercarlo.
I temi portanti (e importanti) sono trattati con sensibilità, con delicatezza. Il film porta a riflettere sulla società, sul sistema, anche su un certo tipo di ristorazione dove l’estetica conta più dell’essenza, la fama più dei sentimenti, il profitto più dell’amicizia. 

Non morirò di fame! E dico no allo spreco, non solo alimentare

La responsabilità e la presa di coscienza della ristorazione 

Con questi intenti, agisce Parma Alimentare che con Parma Quality Restaurants ha organizzato un momento di incontro e approfondimento accompagnato da un “aperitivo del recupero” simbolico del concetto, in occasione della presentazione del film a Milano, come spiega Andrea Nizzi, presidente di Parma Quality Restaurants: “La sostenibilità deve diventare un punto di riferimento prioritario per un ristorante. Quando si parla di antispreco non lo si deve fare meramente su basi economiche, ma soprattutto su un piano etico. Noi chef per primi possiamo dimostrare che una cucina di qualità è anche una cucina sostenibile, innescando un circuito virtuoso nei comportanti della società. Essere creativi significa anche questo, assumere un nuovo approccio nel confronto del cibo”.

Parma, città con fortissima identità gastronomica, è da sempre attenta al tema, come conferma Alessandra Foppiano: “Molte aziende alimentari hanno attivato una partnership con Emporio Solidale Parma, per aiutare le persone più bisognose; molti ristoratori e commercianti sfruttano le potenzialità di app ad hoc come Too Good To Go. E, sul piano della formazione, un centro di eccellenza mondiale come ALMA - La Scuola Internazionale di Cucina Italiana sensibilizza gli chef del futuro sull'importanza di fare ristorazione in modo sostenibile, valorizzando anche gli scarti di cucina”. 

Spreco alimentare, qualche dato

Con l’espressione “spreco alimentare” si intende qualsiasi cibo sano e commestibile che, in ogni fase della catena alimentare, viene sprecato invece di essere destinato al consumo umano. 

Una pratica dovuta per lo più a ragioni economiche o, ancora peggio, estetiche. Spesso si tende a gettar via cibo sano e perfettamente commestibile perché prossimo alla scadenza. Un’abitudine, questa, che crea enormi danni da un punto di vista ambientale e non solo. Gli effetti negativi, infatti, ricadono anche sui costi e sui mancati guadagni per le imprese.
 

Solo nei 27 paesi dell’Europa si sprecano 179 kg di cibo pro capite all’anno, ossia ogni anno 18 milioni di tonnellate di cibo ancora commestibile viene gettato via. 

Solo con il cibo gettato si potrebbero nutrire fino a 3 miliardi di persone.

In Italia, i dati sono allineati a quelli mondiali. Lo spreco alimentare è generato per il 70% dal consumo domestico e da quello fuori casa, il 20% dalla distribuzione e vendita al dettaglio, il 10% dal comparto agricolo tra post raccolta e trasformazione (dati Crea, 2020). 

Per il nostro Paese equivale a 3 miliardi di euro a livello di perdite, mentre 6,5 miliardi di euro sono legati agli sprechi lato consumer. Totale: circa 10 miliardi.

Fare qualcosa si può e si deve fare subito. Il primo passo è prendere coscienza della situazione, e anche un film come Non morirò di fame, garbato e sensibile, che commuove e fa sorridere, fa la sua parte. 

a cura di

Marina Caccialanza

Milanese, un passato come traduttrice, un presente come giornalista esperta di food&beverage e autrice di libri di gastronomia.
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