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Non sottovalutiamo il palato degli americani

11/12/2024

Non sottovalutiamo il palato degli americani

La presenza degli americani nel nostro Paese è in netta crescita. Secondo i dati di Federalberghi, la fazione più numerosa di turisti stranieri è rappresentata dagli americani, a seguire i visitatori asiatici, inglesi e tedeschi. Le proiezioni del periodo dopo Covid segnalano una vera e propria impennata per l’anno 2023 (staremo a vedere i dati relativi al 2024) ma è sufficiente fare appello alla propria memoria per convincersi che l’Italia è una destinazione turistica scelta da molti più statunitensi rispetto agli anni scorsi. 

Penso, personalmente, oltre alle città d’arte e ai borghi storici, sempre traboccanti, ai sentieri escursionistici di montagna: non era mai capitato di imbattersi così frequentemente in accenti americani raggiungendo mete di carattere naturalistico. 

Cosa comporta questa ‘ondata’ nel settore dell’ospitalità e in particolare nella ristorazione?
Proviamo a portarvi una riflessione, in presa diretta, da oltreoceano, da una figura che sta dando il suo contributo per la diffusione della cucina regionale e italiana, sulla stessa lunghezza d'onda di Paul Bartolotta.

 

Il pensiero di Eva Furletti

La prima osservazione da sottoporre agli addetti lavori, in merito all’incremento del pubblico americano in Italia, riguarderebbe, inevitabilmente, l’aumento dei prezzi. C’è un altro tema però, che merita di essere affrontato, specie per chi ha un locale o un ristorante e tutti i giorni si trova a congegnare menu e proposte: riguarda la percezione del palato degli americani.
Ne abbiamo parlato con Eva Furletti, chef trentina trapiantata dal 2022 a San Diego, la città più a sud della California, dove guida la cucina di un ristorante italiano, il ristorante Piazza 1909 a La Jolla, un quartiere delizioso che costeggia il Pacifico.
Eva nonostante la giovane età ha un curriculum ricco e globale: dopo essersi formata a Tione, la nota scuola alberghiera trentina, aver accumulato varie esperienze in alcuni ristoranti (anche stellati) italiani, è volata in Nuova Zelanda, a Wellington City, per lavorare in un’insegna di prestigio, prima di appassionarsi al mondo bakery. Nel 2019 si è trasferita a Vancouver, in Canada, per un altro impiego in cucina e un corso specializzante, quindi è approdata in California dove risiede da quattro anni.
È proprio dall’osservazione dei clienti del ristorante in cui lavora che ha tratto degli spunti importanti, potenzialmente utili a tutti coloro che pensano ancora agli americani come un popolo che non conosce, non sa apprezzare, e soprattutto storpia, la cucina italiana.

“Vedendo l’Italia dall’altra parte del mondo, e raccogliendo il feedback dei nostri clienti che rientrano dai viaggi nella Penisola, posso dire che mi è chiara una cosa: noi italiani sottovalutiamo molto la loro capacità di interpretare e apprezzare la nostra cucina. Oggi il palato degli americani, mediamente, è abituato a una cucina italiana realizzata da italiani trapiantati in America, non da italo-americani. O, ad ogni modo, sono abituati a frequentare attività imprenditoriali a cui fanno capo italiani. Vale lo stesso per le pizzerie. Lo si nota soprattutto negli stati costieri e nelle metropoli. Questo cosa significa? Che la qualità, la fedeltà ai prodotti e alle ricette italiane si è alzata visibilmente. Circolano di più, c’è più conoscenza”.
 

Non sottovalutiamo il palato degli americani

Un’altra osservazione piuttosto eloquente riguarda il commento di molti americani rispetto ai piatti provati in Italia. 

Continua Eva: “Non metto in dubbio la capacità degli americani di apprezzare i piatti della nostra tradizione; da quanto percepisco nel ristorante in cui lavoro ne sono affascinati, ammaliati, e sono disposti a spendere per fare esperienza, per capirne di più. Semmai mi domando come possano tanti locali, soprattutto nel contesto urbano italiano, a proporre una cucina turistica che non tiene conto delle cotture, della qualità degli ingredienti, delle tipicità regionali. È importante trasferire identità a chi fa visita a un luogo… partire prevenuti e incentrati sul profitto non giova sicuramente e, al contrario, si può tradurre in un ricordo negativo!”.

Non bisogna aver molto spirito di immaginazione per prefiguarsi la scena: un ristoratore che ha appena fatto accomodare dei turisti si volta verso il cameriere commentando “tanto sono americani”. Succede, è insito nella nostra errata considerazione dell’altro. 

Sono tantissimi gli italiani convinti che la nostra sia la migliore cucina al mondo ma non fanno nulla per renderle onore in modo sano, mettendosi anche nei panni del cliente che bussa alla porta per conoscere.
Invece l’esperienza di Eva ci racconta ben altro.
Il mio obiettivo qui è in un certo senso anche divulgativo. Due anni fa ho introdotto al ristorante per cui lavoro la pasta fresca, preparata a vista, in una porzione della sala. Realizziamo in più formati, compresi i bigoli e la pasta ripiena. È stato abbastanza tosto all’inizio, soprattutto per formare la squadra di cucina e gestire gli aspetti organizzativi e visivi ma nel tempo ci ha premiati. Moltissimi clienti hanno apprezzato: per loro è piacevole osservare la preparazione, avere quel rituale come sfondo. È una cosa nuova… che amano sperimentare sicuramente di più di una pasta precotta mangiata lungo una via turistica in Italia. Piuttosto spieghiamogli come si mangia al dente, perché. Diamogli modo di provare davvero i nostri sapori, le nostre usanze, le lentezze”.

Non sottovalutiamo il palato degli americani
Alcuni primi piatti di Eva FurlettiAlcuni primi piatti di Eva Furletti

Cosa possono fare gli italiani che si occupano di ristorazione per invertire la rotta, a meno che non l’abbiano già fatto? L’abbiamo chiesto a Eva.

“A mio avviso gli italiani dovrebbero pensare di più a come rendere piacevole, pregnante, l’esperienza al ristorante anche per il pubblico straniero. Parlando nello specifico ancora degli americani, direi che un’ottima strada è offrire loro delle curiosità, non dare per scontato che non capiscano o non sappiano, e poi raccontare con cura provenienze, preparazioni, differenze. Stimolare l’effetto wow sia per una questione economica, visto che sicuramente verrà premiato, sia per una ragione di trasparenza culturale, di amore per le proprie origini. Tutto mi porta a dire che conviene essere un po’ meno altezzosi e più ferrei sui tratti che ci contraddistinguono.”

 

Probabilmente c’è, come sostiene Eva, da compiere un cambio di atteggiamento. Ma prima ancora è necessario ricordarsi che per garantire futuro, continuità e tridimensionalità alla cucina italiana dobbiamo dare il meglio di noi stessi. Non basta semplicemente essere.

 

a cura di

Giulia Zampieri

Giornalista, di origini padovane ma di radici mai definite, fa parte del team di sala&cucina sin dalle prime battute. Ama scrivere di territori e persone, oltre che di cucina e vini. Si dedica alle discipline digitali, al viaggio e collabora con alcune guide di settore.
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