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Olio di alta qualità

28/01/2013

Olio di alta qualità
Da Olio Officina Food Festival alcune proposte concrete per dare valore al prodotto del made in Italy.

L’Italia vanta 538 cultivar per la produzione di olio d’oliva, le più diffuse sono una cinquantina. Nel nostro Paese ci sono 43 olii a Denominazione d’Origine che confermano il primato di secondo paese produttore al mondo, con un consumo pro-capite di circa 13 kg. Eppure c’è ancora molta strada da fare per affermare una cultura dell’olio, sia verso il consumatore sia verso il ristoratore. I motivi sono stati indagati in una serie di interessanti momenti di confronto alla seconda edizione di Olio Officina Food Festival, la manifestazione pensata da Luigi Caricato per nutrire il palato e la mente.
“C’è un processo educativo che richiede i propri tempi, che mi piace pensare possa svolgersi in modo permanente. - spiega Luigi Caricato - Ad esempio, quando molto spesso mi chiedono che olio consiglio, io suggerisco di andare davanti ad uno scaffale e, poco alla volta, provarne il maggior numero possibile, segnando su un taccuino le proprie sensazioni. E capiterà che la scelta andrà verso il gusto personale e verso la qualità”.

La stessa cosa vale per il mondo della ristorazione? In un convegno, organizzato da Olio Officina Food Festival, il CEQ, Consorzio per la qualità dell’Extravergine d’Oliva, ha messo sul tavolo una serie di riflessioni legate proprio al ruolo della ristorazione: a cominciare da uno dei punti di un decalogo sul rispetto della qualità che invita i ristoratori a non rabboccare l’oliera. “Diventa necessario cambiare alcune modalità di approccio all’olio - sostiene Mauro Meloni, direttore del CEQ - a cominciare dalla sua polifunzionalità, potendolo tranquillamente considerare anche come prodotto da degustare. Oppure valutarne la stagionalità, senza timore di misurarci con olii di altre regioni del mondo, come ad esempio l’India che sta facendo un grande percorso qualitativo. Ma soprattutto è indispensabile prestare attenzione a come si comunica”.
Sulla comunicazione infatti si gioca il superamento delle motivazioni di scelta, che vedono indistintamente prevalere la leva del prezzo. Perché un consumatore al ristorante è disposto a spendere 100 euro per una buona bottiglia di vino mentre arriccia il naso se un piatto costa qualcosa in più perché è stato utilizzato un buon olio?
“Intanto bisogna spiegarlo al cliente. Questa è la prima azione da fare. Poi dobbiamo, noi cuochi, non rincorrere il prezzo diversificando. Non è indispensabile utilizzare un olio costoso per cucinare, ce ne sono di ottimi adatti alla bisogna, mentre dobbiamo mettere in tavola le bottiglie, specificare nel menu con quale olio si abbinano alcuni piatti. In una parola a noi spetta il compito di fare cultura del prodotto che, più di ogni altro, si identifica con il made in Italy alimentare”puntualizza Matteo Scibilia, presidente dell’associazione Cuochi di Lombardia.
Una proposta concreta esce da Olio Officina Food Festival. A farla è Massimo Occhinegro, uno dei più competenti esperti di marketing internazionale  del settore: integriamo l’enoteca con l’oleoteca, facciamo in modo che gli enotecari svolgano lo stesso importante ruolo che hanno avuto per il vino. Una proposta che si integra, per la consueta chiarezza, a quella che Occhinegro fece poche settimane fa per dare la giusta collocazione al consumo di olio: l’extra vergine di alta qualità per l’impiego a crudo e per la cucina più di valore; l’olio vergine di oliva per l’uso quotidiano, familiare, in cucina; l’olio di oliva per la frittura di qualità; l’olio di sansa di oliva, infine, in concorrenza diretta con gli oli di semi, in frittura, soprattutto nei ristoranti.
È l’inizio di un nuovo modo di comunicare che deve coinvolgere anche i ristoratori.

 

Luigi Franchi
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