“Non devi fregiarti di un titolo se non ne hai il diritto”. Comincia così la conversazione con uno dei più agguerriti produttori liguri nella difesa del proprio territorio come patrimonio comune. Il suo nome? Simone Rossi, socio dell’Oleificio Salvo di Imperia, ma anche presidente del Comitato Salva Taggiasca, un’associazione che conta circa 70 aziende, impegnate nell’olivicoltura delle provincie di Imperia e Savona, e 700 piccoli produttori che vogliono, ad ogni costo, difendere il bene di queste terre: l’oliva taggiasca che qui ha trovato, da centinaia di anni, il terreno più fecondo.
Per perseguire questo obiettivo hanno creato un rapporto stretto con il mondo scientifico per arrivare a un risultato inequivocabile: il DNA controllato dell’oliva taggiasca che arriva sulle tavole e nelle ricette degli chef.
“Perché abbiamo ideato questo percorso? Proprio per dare valore a un nome importante come la taggiasca. Per dargli il titolo che le spetta e che, in questo modo, consente di raggiungere due obiettivi fondamentali: il primo è dare il giusto compenso agli agricoltori che difendono queste terre. Non sussidi ma riconoscimento del lavoro, la garanzia di un reddito che può interessare anche le giovani generazioni a continuare quello che i padri e i nonni hanno sempre fatto. Altrimenti questi territori, fragili, non resisteranno a lungo. Il secondo obiettivo è dare certezza allo chef, al ristoratore, al pizzaiolo di quello che sta comprando”.
L’oliva taggiasca suscita quello che, all’estero, viene chiamato italian sounding, ovvero la contraffazione di prodotti che, per la loro fama e la loro qualità, scatenano appetiti economici di dubbia origine.
Per questo applicare sulle confezioni un’etichetta che certifica che quella che stai comprando è vera oliva taggiasca diventa un elemento fondamentale.