Non si è parlato, finalmente, di giovani che non hanno voglia di lavorare il sabato e la domenica, di scarsa reperibilità di personale, di istituti alberghieri ingessati in programmi teorici. Sono cose che sappiamo e che non hanno certo bisogno di essere lamentevolmente rimarcate. Hanno bisogno di soluzioni che passano attraverso una nuova visione del cameriere da portapiatti a portatore di conoscenze. E nessuno si è avventurato in neologismi che sostituiscano il termine cameriere, bensì si è discusso di trasformazione dell’atto del servire in atto di accogliere. Parte anche da qui, da un’elevazione sociale (come è stato per il cuoco), la riscossa di un mestiere tra i più sicuri del mondo (nessuno ha mai visto disoccupato un bravo cameriere).
Tutti i testimoni, invece, hanno spiegato molto bene come l’arte difficilissima e stimolante della relazione con il cliente, dell’eleganza dei gesti, dell’intangibilità di un servizio eccellente, di una condivisione culturale, possono creare quella sensazione di unicità per cui il ristorante sa farsi ricordare e invoglia a tornarci per rivivere quell’esperienza.
Un grazie sincero, per il loro contributo, a: Claudio Sadler, Vincenzo Donatiello, Ilario Mosconi, Marco Reitano, Ezio Santin e Renata Fugazzi, Gualtiero Marchesi ed Enrico Dandolo, Romeo Bisacchi, Pietro Arrigoni, Stefano Alfonso, Francesco Cerea, Angelo Semerano, Roberto Gardini, Dominga Cotarella, Luis Diaz, Enrico Guarnieri, Michil Costa, Alessandro Pipero, Vanessa Meli, Damiano De Crescenzo, Alberto Bettini, Elisa Dal Bosco, Antonio Santini, Lorenza Vitali, Enzo Vizzari, Sonia Re, Manuele Pirovano, Costantino Cipolla, Marco Santucci e Andrea Sinigaglia.
Le loro testimonianze verranno riportate per intero sul prossimo numero di sala&cucina, in uscita a fine gennaio.