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Oltre la cucina

17/06/2025

Oltre la cucina

È un mestiere affascinante, e appagante, pieno di significati quello di cuoco. Diventare chef, oggi, per un giovane che si affaccia al mestiere, è certamente un traguardo ambito, celebrato, ricco di soddisfazioni. È anche un mestiere complesso, dove l’azione di “saper cucinare” ed essere in grado di riprodurre o creare ricette perfette, ovvero il lato bello dell’azione, passa in secondo piano perché “essere chef” comprende una serie di responsabilità e competenze, di azioni e intuizioni che rappresentano il centro di un menù in cui l’atto di saper cucinare è solo l’antipasto, la creatività il contorno, il piatto forte la progettazione e la capacità gestionale, il dessert la sostenibilità economica. 

Vittorio Celentano, executive chef presso il Grand Hotel Bonanno di Pisa, questo lo sa bene perché i suoi compiti comprendono la gestione delle cucine dell’hotel e di altre residenze, resort e case di riposo. È un messaggio quello che lancia ai giovani, affinché affrontino la sfida con consapevolezza. Perché è il mestiere più bello del mondo ma per svolgerlo degnamente e ottenere i risultati attesi occorrono preparazione e umiltà, in dosi abbondanti. 

Una storia che inizia tra le stelle…

“Ho cominciato a cucinare per scherzo – racconta Chef Celentano, nativo di Sarno in Campania – mio padre commerciava uva da tavola e da vino, kiwi e mele e io spesso andavo con lui in Puglia dove i miei parenti avevano dei ristoranti. Mi appassionai alla cucina tanto che dovendo scegliere una scuola superiore scelsi l’alberghiero. In quel periodo conobbi colui che ancora oggi considero il mio mentore, il professor Marolo Epifanio, grande manager della ristorazione e direttore d’albergo. Fu lui che mi indirizzò e che, insieme a Sergio Lio, food&beverage manager di alto profilo, ancora oggi mi consiglia. Negli anni ho conosciuto molte persone importanti per la mia crescita professionale, come Angelo Zara, oggi giudice per la classifica mondiale delle case vinicole e presidente del wine festival di Paestum: ancora oggi mi rivolgo spesso a lui per essere consigliato su vini e abbinamenti e creare la carta dei vini in occasione di eventi”. 


Le prime esperienze di Vittorio Celentano sono strabilianti, affrontate con l’ingenuità di un giovane che si affaccia al mondo: “Prima si facevano percorsi interessanti coi ragazzi delle scuole, stage e apprendistato. Venni indirizzato all’apprendimento della cucina ebraica e venni mandato a seguire un percorso formativo, letteralmente catapultato e travolto da un luogo e da un personaggio quasi magici, e imparai”.
Il luogo è Parigi e il personaggio nientemeno che Paul Bocuse, colui che è considerato forse il più grande chef al mondo.
“Avevo 17 anni, non esisteva internet ma solo i libri, non sapevo neppure cosa fossero le stelle Michelin e trovarmi in una cucina che ne poteva vantare 3 fu affascinante, anche se non capivo bene dove fossi, non mi rendevo conto dell’importanza del luogo. Un servizio incredibile, pentole di rame che parlavano, una lezione di vita prima che di arte culinaria. La mattina lavoravo nella pasticceria di Robuchon poi, a piedi, camminavo tra il Louvre e la torre Eiffel per raggiungere il ristorante di Paul Bocuse, icona fin dall’800… un sogno”. 
 

Torna a Sarno, si diploma e si avvia per la sua strada, un corso di perfezionamento presso l’Etoile di Boscolo, un master in gestione delle intolleranze. Continua quella che lui stesso definisce la “gavetta” con periodi di stage e lavoro, approfondimento ed esperienza. Inizia a lavorare come chef privato presso dimore di alto livello e infine sullo yacht di uno degli uomini più ricchi del mondo: diventa il suo chef personale e con lui gira il mondo per oltre dieci anni. 

Oltre la cucina

Un lavoro di grande sacrificio, impegno, ma un’esperienza unica.
“In una situazione così complessa, con persone tanto esigenti – spiega Vittorio Celentano – impari a cucinare di tutto, ad affrontare situazioni di ogni genere”. Come il mestiere che svolge oggi, dopo diverse esperienze in strutture di ospitalità italiane: “Portare avanti le cucine di una società che da 3 alberghi arriva a 7 nel corso degli anni, ospedali e case di riposo ed rsa è un lavoro complesso: devi essere executive chef e anche manager, devi poter rispondere alla proprietà con cognizione e gestire ogni attività con efficienza e profitto”.
Vittorio Celentano lo fa da 15 anni.

Pronti a essere dei leader? Sì, no…forse

Ma come si fa a far funzionare una struttura? Ogni struttura è un mondo a sé. 
La gestione delle cucine di un albergo, o di diversi alberghi come in questo caso, è estremamente complessa perché si articola su diversi fronti, afferma Celentano: “Bisogna saper conciliare il ristorante col bistrot, le prime colazioni e gli eventi. Occorre saper dialogare con l’ufficio commerciale, la direzione. Per la realizzazione di un evento, come un matrimonio, la procedura è avere un prodotto ottenuto attraverso uno studio commerciale del luogo, dell’ambiente, del territorio e della gente. Una programmazione accurata e una ricerca approfondita a monte. Se il ristorante dell’hotel comprende, per esempio, la presenza di una piscina si deve prevedere e valutare il percorso, le persone che servono, il numero di bagnini, il barman. Esiste un contesto da esaminare e costi attivi e passivi da considerare e di cui rispondere. Il progetto deve essere presentato e il direttore generale lo deve approvare. Tutto questo esula dal lavoro di cuoco in sé ma esiste e richiede competenze precise e complete. Essere executive chef di una struttura comprende tante cose e non necessariamente il cucinare”. 

Ci sono poi le case di cura e le rsa: qui il discorso è ancora più complesso perché racchiude aspetti legati alla salute e alla nutrizione oltre ad aspetti puramente emozionali. L’attività del ristorante interno non può solo tener conto dei desideri degli ospiti e dell’organizzazione della società ma rispondere a normative precise. Uno studio accurato della situazione è indispensabile e una gestione accorta delle esigenze e delle risorse un requisito inderogabile. 

Il rapporto che l’executive chef instaura col direttore della struttura è fondamentale, afferma Vittorio Celentano: “Oggi per fare il direttore d’albergo si richiede come requisito di base la conoscenza delle lingue; ma occorre anche saper capire la situazione e sapervi provvedere, condizione non sempre semplice se non si possiede l’esperienza adatta. Un tempo all’alberghiero provavi a fare il cuoco, il cameriere, il sommelier, il barista e il segretario della reception: se riuscivi a entrare nei panni di ognuno e comprenderne le difficoltà eri pronto per affrontare quel mondo. Oggi troppo spesso la formazione iniziale è carente, i criteri di assunzione si basano sulla conoscenza delle lingue straniere e magari una precedente esperienza come commerciale. I giovani si trovano impreparati al compito che li attende. Manca la crescita che si ottiene solo dalla pratica e dall’apertura mentale che deriva dal contatto diretto col lavoro”. Secondo Celentano, i grandi manager di un tempo erano coloro che sapevano creare la clientela, non solo riempire un hotel.
Anche per il futuro servono professionisti!

Oltre la cucina

Percorsi finalizzati alla professione

Essere un capo non è improvvisarsi tale. È quasi un appello quello che chef Celentano lancia: “Oggi è facile dichiarare una posizione – manager, chef, executive chef, food&beverage specialist – ma non sempre il titolo corrisponde alle competenze. È come definirsi “dottore” e non poter produrre una laurea. Ci si riempie la bocca di termini altisonanti senza averne diritto. Il degrado della scuola professionale e la deriva mediatica hanno generato schiere di giovani volonterosi ma impreparati alla complessità del lavoro che sono chiamati a svolgere”. 

La soluzione, afferma Celentano, potrebbe essere quella di creare percorsi mirati accessibili: “Se vuoi diventare chef non devi imparare solo dagli stellati – suggerisce Vittorio – ma da tanti cuochi diversi. Se vuoi diventare executive chef di un albergo non devi fare la gavetta nel locale alla moda ma in tutti quelli che gravitano nel mondo della ristorazione: un anno in panificio, un anno in pasticceria, un anno nell’industria conserviera, e così via. Devi conoscere il processo dalle basi, dalla realtà sul campo, al mare e in montagna, provare attrezzature diverse e incontrare situazioni varie, fare il lavapiatti. Imparare a lavorare in gruppo, a interpretare le diverse clientele. Devi avere cultura ed esperienza. Perché posso anche realizzare un piatto perfetto ma se non viene capito e non risponde alle esigenze della ditta – e un ristorante o hotel sono una ditta - ho fallito. Esprimere la propria fantasia non è mestiere”. 

Una lezione di responsabilità e buon senso quella che chef Vittorio Celentano ci trasmette con le sue parole. L’eco mediatico verrà poi, forse, dopo la realtà, dopo i risultati. E allora arriveranno le soddisfazioni, anche materiali, quelle vere. 

a cura di

Marina Caccialanza

Milanese, un passato come traduttrice, un presente come giornalista esperta di food&beverage e autrice di libri di gastronomia.
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