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Pane nostro

20/11/2023

Pane nostro

Antico è meglio. Un assunto che da tempo affascina il mondo del food, quasi sempre senza ragione. Tra i casi più eclatanti vi è quello dei grani antichi, così carichi di narrazioni e di superpoteri. Tra scienza ed etica, falsi miti e bugie, il grano è la specie più coltivata al mondo e fornisce il 20% delle calorie e delle proteine consumate dagli esseri umani. 


Ma, nell’epoca del sovraccarico da informazioni, c’è bisogno di fare chiarezza. E a farlo è l’ultima pubblicazione del professor Luigi Cattivelli, direttore del Centro di ricerca Genomica e Bioinformatica del CREA di Fiorenzuola d’ArdaPane nostro”, edito da Il Mulino, è un testo divulgativo che mira a contrastare una disinformazione cavalcata soprattutto dal marketing e dalle immagini pubblicitarie. 

Tutti i frumenti antichi rappresentano un pezzo della storia dell’agricoltura. Io non voglio demonizzarli, sono importanti risorse genetiche, sono un pezzo di storia e andrebbero considerati come tali, da tenere in campo come fossero musei. Non devono sparire, ma quello che non si può dire è che antico significa migliore, convinzione diffusa nel mondo del food tanto che - supportati dalle campagne pubblicitarie e dai packaging – ci capita di comprare cose che sembrano antiche ma sono modernissime”.

Copertina del libro "Pane Nostro"Copertina del libro "Pane Nostro"

Cosa differenzia un grano antico da un grano moderno

L’unica chiara differenza tra i frumenti antichi e quelli moderni è il gene che controlla l’altezza della pianta, non altri caratteri. L’antichità non li fa migliori, anche il concetto di antico è relativo. Definiamo così varietà antecedenti agli anni Sessanta, parliamo di soli sessant’anni! Cambia l’altezza e cambiano i dati produttivi, null’altro”.

Altra nota dolente, oggetto di molte dispute è il contenuto di glutine in grani antichi e moderni.

Tra le due tipologie di frumento vi sono differenze minime in termini di quantità di glutine, basterebbe controllare le proprietà nutrizionali in etichetta per rendersene conto. La quantità di proteine all’interno del seme dipende da un fattore agronomico (la fertilità del suolo) e da uno genetico”.

Luigi CattivelliLuigi Cattivelli

L’integrale è la vera rivoluzione

Tra le fake news sui grani antichi campeggia anche la questione organolettica. Ma sono davvero più saporiti i prodotti realizzati con queste varietà?

Nella definizione degli aromi e dei sapori dei prodotti a base di frumento il ruolo determinante lo svolgono il processo di trasformazione ed i condimenti. Affermare poi che un sapore ritrovato, o più in generale una caratteristica qualitativa, in una varietà antica non possa essere presente anche in una moderna è una dichiarazione che prescinde dalla genetica. In una varietà antica i tratti vetusti sono quelli legati alla bassa capacità produttiva, alla suscettibilità alle malattie e ad uno scarso adattamento al clima presente e futuro, si possono selezionare varietà moderne con le stesse caratteristiche qualitative di un qualsiasi grano antico”.
 

Non è dimostrata, dunque, alcuna superiorità organolettica e né tanto meno nutrizionale dei grani definiti antichi.

Non è corretto presentare prodotti realizzati da grani antichi come nutrizionalmente superiori. La cosa che dovremmo fare, invece, è preferire sempre l’integrale, il quale è ricco di fibre, antiossidanti e con minerali di 4/5 volte superiori ai prodotti normali. Deve diventare un’abitudine alimentare, a riguardo sono tantissimi i dati scientifici che confermano quanto faccia bene alla salute. In una dieta equilibrata l’utilizzo di prodotti integrali rispetto a quelli classici fa la differenza, non ve n’è – invece – se consumiamo prodotti da grani antichi rispetto a quelli moderni”.

Un’opportunità culturale e di narrazione, dunque, che il ricercatore riconosce come conservazione e tutela, ma che non può più essere spesa come panacea di alcune delle problematiche che segnano i nostri tempi.

Pane nostro

La sfida del grano del futuro

Dalla riflessione sul frumento, sul suo ruolo economico e alimentare, non si può lasciar fuori i temi della sostenibilità e dell’ambiente.

Per la loro scarsissima produttività i grani antichi hanno un impatto ambientale più alto. Importiamo il 60% del frumento tenero e il 40% che produciamo lo facciamo grazie ai frumenti moderni, se usassimo frumenti antichi ne importeremmo l’80%. Il problema più grande che abbiamo adesso è rendere le piante resistenti ai cambiamenti climatici. Aumenta la temperatura e diminuisce la disponibilità idrica, è una sfida importante per i prossimi trent’anni, assieme alla necessità di aumentare la resistenza a certe malattie e ridurre la chimica. A livello di consumi di nicchia o di singolo produttore va bene l’attenzione e la coltivazione di grani antichi, ma a livello di nazione (e di pianeta) questo discorso non può stare in piedi”.

a cura di

Antonella Petitti

Giornalista, autrice e sommelier. Collabora con diverse testate, tra radio, web e carta stampata. Ama declinare la sua passione per il cibo e i viaggi senza dimenticare la sostenibilità. Sempre più “foodtrotter” è convinta che non v’è cibo senza territorio e viceversa.

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