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Parmigiano Reggiano un viaggio nelle terre del re dei formaggi

22/12/2010

Parmigiano Reggiano un viaggio nelle terre del re dei formaggi
Parmigiano Reggiano un viaggio nelle terre del re dei formaggi
“Abbonda innanzitutto delle cose utili ai mortali. Ha un territorio ottimo, amenissimo e fecondo, fertile di grano, di fava e di tutte le altre messi e parimenti di frutti nobili e di vino di ogni genere, dolce, bianco, rosso. Né è privo di acque medicamentose, salubri a molti effetti; dovunque campi si stendono in lungo e in largo, ricchi di abbondanti pascoli, di opportunità somme per il bestiame: da essi si raccoglie latte per fare il formaggio con tanta meravigliosa abbondanza, che essa supera la credenza, se non l’avrai vista.”  Così scriveva nel XV secolo l’umanista tedesco Sebastian Münster, nel descrivere le terre del Parmigiano - Reggiano.

Per fare il re dei formaggi italiani servivano le acque fresche che la centuriazione romana aveva da tempo canalizzate, il sale che arrivava dalle saline di quello che oggi è una cittadina termale tra le più note, Salsomaggiore Terme, grandi appezzamenti per i pascoli che venivano garantiti dalle aziende agricole dei monasteri benedettini. Il tutto racchiuso in un territorio compreso tra due piccoli fiumi, il Parma e il Crostolo, a nord della Via Emilia; quello era l’antica zona zona d’origine del Parmigiano - Reggiano, le cui prime notizie certe risalgono al 1284, riportate nelle Cronache di fra Salimbene da Parma che racconta di “laganam cum caseo”.

Oggi l’area di produzione è più vasta, coinvolge le intere province di Parma, Reggio Emilia e Modena, una parte di quelle di Bologna e di Mantova a sud del Po. Le 32 formagias casei parmensis magnas, citate in un documento del 1351, oggi sono diventate circa tre milioni. Tutte rigorosamente marchiate DOP e sottoposte a controlli di qualità negli oltre 400 caseifici produttori. Ma a cambiare sono solo i numeri, perché le tecniche di produzione e le caratteristiche dei luoghi sono rimaste identiche a quelle raccontate seicento anni fa.

Le saline di Salsomaggiore sono ancora visibili, nella frazione di Salsominore, a due chilometri dal centro della città. L’edificio rappresenta il deposito del sale risalente ad epoca farnesiana, quando il territorio era il più importante centro di produzione del sale di tutta l’Italia settentrionale. Poco lontano, a Pellegrino Parmense, ogni anno a metà luglio, si svolge la Festa del Parmigiano-Reggiano di montagna.

La differenza dove sta? Appunto nelle differenze che un grande prodotto come questo riesce a mettere in campo: l’eroismo di casari che resistono in montagna a fare questo mestiere, l’amore per gli animali che si esplicita nella razza reggiana delle Vacche Rosse o in quella delle Vacche Bianche modenesi (due tra le razze adatte a fornire il latte per questo formaggio), la fortissima tradizione di cui ogni caseificio è geloso. Ma il Parmigiano-Reggiano è buono e basta!

Da Pellegrino si torna in pianura per scoprire tutto, ma proprio tutto della storia di questo formaggio al museo ad esso dedicato. Siamo a Soragna, nella bassa parmense, dove è stato ristrutturato l’ottocentesco casello fatto costruire dal principe Meli-Lupi, a pochi passi dalla sontuosa e raffinata rocca oggi visitabile.

Nel Museo sono illustrate le varie fasi di produzione e stagionatura, oltre ad ospitare una sezione dedicata agli attrezzi antichi con cui si fa questo formaggio, attorno a cui ruota una scenografia meravigliosa: scalere alte 20 metri disposte in ordinatissime file nei magazzini di stagionatura, campane di rame per cuocere il latte, caselli ottagonali che segnano l’identità di questo territorio, il martelletto per battere la forma e l’ago per penetrarla e misurarne la bontà della stagionatura, oggetti che fanno l’invidia dei più raffinati esteti.

Ma non sono solo oggetti da museo. Basta attraversare la via Emilia ed arrivare all’Osteria Vecchia di Casalgrande, in provincia di Reggio Emilia, per vedere uno dei begli esempi di architettura rurale dedicata alla lavorazione del Parmigiano-Reggiano. E da lì raggiungere l’abbazia benedettina di Nonantola, dove finiscono i confini di produzione dell’area modenese. Oggi come allora, quando i benedettini iniziarono l’arte di questa delizia gastronomica.

Furono loro infatti a dare, probabilmente per primi, impulso all’organizzazione che si è perpetuata fino ad oggi: i pascoli abbondanti per le vacche, le stalle per la mungitura del latte, il mestiere di casaro per dare un lavoro a persone che non avevano nulla.

A quasi mille anni di distanza il Parmigiano - Reggiano è diventato un vero e proprio distretto economico con 3.676 aziende agricole che conferiscono il latte ai caseifici, prodotto da 237.000 bovine.

Questo è il mondo del Parmigiano - Reggiano, che si ritrova in ogni angolo di queste province dal cuore emiliano (anche a Mantova batte questo cuore), nei ristoranti dove la scaglia di formaggio è spesso il simbolo di benvenuto, nei portici delle città e dei paesi che nascondono botteghe alimentari di straordinaria ricchezza di sapori, profumi, storie.

Un formaggio che ha saputo superare ogni barriera di comunicazione tra le razze, cancellando ataviche paure dello straniero: perché, a fare gli aiutanti dei casari, sono sempre di più persone che arrivano da paesi lontani e che qui hanno trovato lavoro e dignità. Ecco perché vale la pena viaggiare tra la pianura e la montagna emiliana alla ricerca dei caseifici, segnati ognuno da un numero identificativo prima ancora che da un nome (il numero che si trova su ogni forma), e pieni di persone che amano la terra e la gente.
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