Cerca

Premi INVIO per cercare o ESC per uscire

Pasta al sugo, sì ma quale?

31/08/2022

Pasta al sugo, sì ma quale?

“Immaginate 20 tavoli, due persone in ogni tavolo, 40 piatti di pasta diversi da preparare: diverse tempistiche, diversi metodi, sembra facile ma ci vuole lavoro e attenzione per ottenere un risultato eccellente” (cit. Alfonso Caputo, chef)

Il piatto di pasta più famoso nel mondo sono gli spaghetti al pomodoro; e se la ricetta viene spesso attribuita alla tradizione del sud Italia, è lecito ricordare che fu un piemontese, Francesco Cirio che, nel 1866, ebbe l’intuizione di applicare su scala industriale il metodo di conservazione dei prodotti vegetali per mezzo della sterilizzazione a caldo, dando origine alla conserva di pomodoro.

Eppure, se la salsa di pomodoro è il condimento più diffuso per servire la pasta, cibo nazionale per eccellenza, esistono nella tradizione culinaria italiana infinite varianti, in base al territorio, secondo usanze, disponibilità e gusti. Alla base i grassi, burro e olio, ma anche lardo e strutto, e aromi. Carni e pesci, ortaggi vari, seguono e completano il ventaglio di possibilità che un cuoco si trova a comporre quando decide di creare un sugo, perché qualunque esso sia, è l’accompagnamento ideale per la pasta di grano duro. E la pasta, si sa, è il cibo prediletto.

Pasta al sugo, sì ma quale?

L’ispirazione viene dal territorio

L’influenza del territorio e delle sue usanze è fondamentale. Se oggi abbiamo a disposizione materie prime e ingredienti provenienti da tutto il mondo, un tempo si attingeva, per necessità, alla disponibilità locale e le ricette erano espressione del luogo e dei suoi frutti. Ne è un esempio l’abitudine ligure di condire le paste con noci, nocciole, mandorle, di cui troviamo traccia nei ricettari del trecento/quattrocento: la salsa di noci serviva per condire spaghetti, linguine, tagliatelle e trenette, e pare che il pesto possa esserne l’evoluzione, un modo per utilizzare quell’erba che in Liguria si coltiva e cresce ovunque.


È lo stesso principio che dà origine ai succulenti sughi emiliani: dalla povertà di un tempo, la massaia ha creato un arricchimento; ha imparato a recuperare gli avanzi legandoli con un condimento e ne ha fatto un piatto nuovo. Per questo ogni famiglia ha la sua ricetta del ragù: cipolla di base, erbe dell’orto, ritagli di carni miste – bianche e rosse – e il pomodoro, talvolta funghi, piselli. L’Artusi non ne fa cenno nella sua opera, forse indeciso su quale scegliere; per questo nel 1982 l’Accademia Italiana della Cucina decise di depositare la ricetta tradizionale bolognese. Per questo esistono versioni diverse in molte regioni italiane, dal ragù alla napoletana con la carne cotta intera per insaporire il sugo che servirà da condimento ai ragù toscani o umbri con cacciagione, rigaglie, quello barese con carne di cavallo, con salsicce di maiale; due elementi restano di base: il soffritto e la cottura lenta e prolungata.


Accanto ai sughi di carne, non dimentichiamo quelli con i pesci. L’abbondanza di pesci conservati sotto sale, hanno ispirato sughi divenuti iconici come condimento della pasta: i bigoli in salsa veneti, i pici con l’acciugata toscani, lo stoccafisso per il vincisgrassi marchigiano. Tra i tanti piatti classici della cucina di pesce, gli spaghetti con le vongole, di cui ogni regione ha la sua versione più o meno ricca ma sempre basata sulla freschezza della materia prima.


Le verdure, d’altro canto, offrono alle ricette regionali un tocco speciale, pensiamo alla pasta alla Norma, alle orecchiette con cime di rapa, ai maccheroni “al ferretto” conditi coi peperoni “cruschi”.

Un primo piatto al Cibus a Ceglie MessapicaUn primo piatto al Cibus a Ceglie Messapica

Contaminazioni, etica e tecniche innovative

Oggi, sembrano essere la contaminazione tra materie prime, la tecnica e l’etica, le basi del successo di ricette innovative dove carne e pesce convivono, oppure dove prodotti meno convenzionali sono protagonisti, elaborati secondo una visione contemporanea della cucina che trasforma un piatto di “semplice” pasta in qualcosa di straordinario; sono piatti che trovano nella ricerca scientifica e nella moderna tecnologia la loro espressione migliore in diversi contesti; traggono l’ispirazione da una visione nuova e rivoluzionaria della cucina, con modalità più o meno semplici: il nuovissimo bistrot riminese di Roberto Rinaldini, per esempio, serve una classicissima pasta alla carbonara, però la crema di pecorino è preparata a bassa temperatura; interessante lo “spaghetto al burro e lieviti del vino” ideato da Mattia Baroni, chef del Bad Shörgau, dove alla cottura della pasta si abbina un condimento realizzato con un’elaborazione gastronomica fermentativa dei lieviti rimasti nelle vasche di Schiava - un garum di latticello e polvere di lieviti - niente sale, niente burro “vero” ma scienza che diventa gusto ed esperienza; zero sprechi per Michele Lazzarini, Contrada Bricconi, che porta in tavola  uno spaghetto freddo con grasso di trota e acqua di rabarbaro. L’elenco sarebbe infinito.


È la nuova frontiera della cucina. Punta a migliorare la percezione organolettica, ad alleggerire il carico lipidico e calorico, a incontrare il favore di un consumatore attento alla salubrità degli alimenti e alla sostenibilità della lavorazione.

I segreti di un piatto di pasta a regola d’arte

Nella culla della pasta all’italiana, la costa sorrentina, Alfonso Caputo, chef patron della Taverna del Capitano a Marina del Cantone, ci rivela volentieri i suoi metodi per ottenere una pasta condita in modo equilibrato, per amplificarne ogni sfumatura di gusto rispettandone la natura:
 

“Si fa presto a dire ‘un piatto di pasta’: sembra semplice ma ci vuole lavoro e attenzione per ottenere un risultato eccellente. La cottura è fondamentale; in generale, la pasta viene portata a metà cottura in acqua e poi completata in padella affinché gli amidi rilascino quella morbidezza che permetta di amalgamare perfettamente pasta e sugo. Ciò consente di evitare quello che io chiamo ‘sugo coprente’ ovvero staccato dalla pasta. La nostra cucina è prevalentemente di mare e negli anni ha subito una rivoluzione nella metodologia che mira ad alleggerire le lavorazioni e valorizzare le materie prime, per dare modo di apprezzarne le caratteristiche. Alla base, un tempo, fino agli anni ‘70/’80, c’erano aglio e peperoncino in quantità, retaggio di un’epoca in cui non esisteva il frigorifero e bisognava coprire eventuali odori sgradevoli. Oggi non è più necessario: io preferisco usare un goccio di olio aromatizzato per dieci giorni con aglio e peperoncino e poi filtrato, in modo che mantenga solo gli aromi. Se preparo, per esempio, uno spaghetto alle vongole, aggiungo semplicemente le vongole in padella per pochi secondi e gli spaghetti fino al termine della cottura, ottenendo una salsina morbida col versamento graduale dell’acqua della pasta. L’impiattamento si fa senza gusci, è più comodo, e con pochissimo prezzemolo che coprirebbe i sapori, solo per un tocco di colore. Se, invece, voglio fare un piatto con il sugo di pomodoro, non amo una salsa a cottura anticipata ma preferisco un San Marzano fresco spellato e tagliato in 4 filetti: si scola la pasta e si finisce la cottura in padella col pomodoro, semplicemente. I prodotti poco trattati mantengono il sapore naturale, ed è molto importante, soprattutto quando si impiegano materie prime di eccellenza, perché non basta la qualità, deve essere rispettata.

Lo chef Alfonso Caputo nella sua cucinaLo chef Alfonso Caputo nella sua cucina

La scelta accurata e il trattamento delicato delle materie prime sono un modo per salvaguardare la tradizione gastronomica e, al tempo stesso, traghettare la cucina verso un’espressività che soddisfi le esigenze alimentari contemporanee con consapevolezza e concretezza. Un esempio mirabile di quest’arte è la pasta alla Nerano (nella foto di copertina di quest'articolo). Alfonso Caputo ci svela i suoi segreti per una preparazione perfetta:

“Zucchine fritte 2 o 3 giorni prima e conservate ammucchiate in frigorifero; 3 tipi di formaggio all’ultimo momento, caciotta, caciocavallo e provola, formaggi secchi ma non troppo stagionati. Il procedimento prevede le zucchine riscaldate a bagnomaria e amalgamate in padella con 5 grammi di burro per persona, molto basilico, la pasta molto al dente, l’aggiunta di acqua della pasta per completare la cottura e solo alla fine il formaggio, un cucchiaio a testa, circa 25 grammi”.

E poi, naturalmente, se non possiamo farla in casa come Alfonso Caputo, almeno che sia una pasta secca di grano duro di ottima qualità.

 

 

a cura di

Marina Caccialanza

Milanese, un passato come traduttrice, un presente come giornalista esperta di food&beverage e autrice di libri di gastronomia.
Condividi