Sempre più pasta italiana sulle tavole internazionali. Grazie a una crescita del 4% sul 2013, lo scorso anno le esportazioni di spaghetti & C. hanno superato con soddisfazione i 2 milioni di tonnellate, per un giro d’affari complessivo di oltre 2,2 miliardi di euro (pari al 7% circa dell’export dell’intero settore agroalimentare).
Anche gli ultimi dati resi noti da Ismea confermano, dunque, il trend di progressione registrato negli ultimi 15 anni dalle esportazioni di uno dei simboli del food italiano. Nel caso specifico, poi, della pasta di semola secca (che rappresenta oltre l’80% dell’intero comparto), nel 2014 le spedizioni oltre confine hanno sfiorato gli 1,8 milioni di tonnellate (+3,2%), corrispondenti in valore a poco più di 1,6 miliardi di euro (+2,6%). Un esito che, ancora una volta, s’inserisce perfettamente nell’andamento generale delle esportazioni di questo settore, dal 2001 cresciute mediamente a un ritmo del 2,3% annuo in volume e del 5% in valore, con il solo drastico arresto del 2008, quando la fiammata dei listini del grano duro determinò una significativa riduzione dei quantitativi immessi sui circuiti internazionali (-5% circa) a causa degli alti livelli di prezzo raggiunti.
Ma quali sono i maggiori estimatori della pasta italiana? Il mercato comunitario rimane il maggior destinatario delle esportazioni e, in particolare, Germania, Francia e Regno Unito restano gli acquirenti top per la pasta nostrana. Da soli, infatti, nel 2014 hanno assorbito quasi il 46% degli invii oltre frontiera. Nella classifica dei principali Paesi clienti spiccano, inoltre, gli Usa (+7%), mentre si registrano aumenti a due cifre sul mercato russo (+11%), che passa dalle circa 7mila tonnellate del 2000 alle oltre 59mila del 2014, nei Paesi Bassi (+18%) e in Belgio (+17%). E se il Giappone segna una battuta d’arresto (-4%), la Cina, dal canto suo, pur esibendo quote di mercato ancora contenute, ha incrementato i suoi acquisti addirittura del 40%, confermando l’ottimo trend dell’ultimo triennio.
Su risultati tanto positivi cala però un’ombra. Come sottolinea la stessa Ismea, il successo della pasta di semola italiana rende ancora più evidente la dicotomia oggi esistente tra fase agricola e industriale, in un settore strutturalmente dipendente dall’estero per l’approvvigionamento della materia prima, ma esportatore netto per un’ampia gamma di prodotti lavorati.
Mariangela Molinari