“Non ho nessun rimpianto. – confessa Nevio – Sono anzi contento di aver fatto il pescatore, perché mi sono formato famiglia e vita da solo, con il mio impegno, imparando tanto dal mare. Mi sono imbarcato con mio padre e mio fratello, che mi hanno insegnato, oltre alla pesca, a navigare, stare al timone, i venti, fino a quando, a trent’anni, ho preso il comando della barca. E, oggi, mi piace trasferire questa conoscenza attraverso l’insegnamento ai giovani che vogliono imparare la professione e il mare. Ne ho formati davvero tanti, da Lignano a Pesaro”.
Come definiresti il bello di essere pescatore?
“Il mestiere del pescatore, a parte la complessità delle problematiche e della burocrazia, è bello! Bello per il rapporto con la natura, bello perché non sai mai quello che pescherai. È un mestiere di istinto, di fiuto, in ogni azione! Ma la bellezza vera, ogni mattina, è quella del sole che sorge, che non ha eguali con niente altro. Poi crea solidarietà, tra le persone, siamo una piccola comunità su una barca circondata solo da distese di acqua; si impara a condividere tutto. E questo è il valore più grande”.
Come è cambiato il mare, quello che tu conosci, nel corso della tua carriera?
“Il mare è rimasto quello, con le sue difficoltà legate a fosforo, azoto. L’Adriatico è un mare molto nutriente. È però cambiata la tecnologia che va per mare: barche con motori molto più potenti che trascinano reti più grandi e sofisticate, con una capacità di pesca enorme. Immagina la differenza che passa tra una barca da 150 cv rispetto ad una di 1.000 cv: il primo risultato è l’effetto contrario, meno pescatori, meno gente per mare, più sforzo di pesca. Ma questo non è un bene perché il mare ha bisogno di riposo per dare”.
Per questo esiste il fermo pesca, o no?
“Si, quella è un’ottima misura se correttamente rispettata, ma per tutto il testo dell’anno la modifica del modo di pescare ha portato alla perdita, o alla fortissima riduzione, di molte specie in Adriatico: scampi e merluzzi, pochissimi; razze e pesci da brodetto, sempre meno. Sarebbe utile che anche il fermo pesca potesse avere fasce più estese e suddivise per tipologia”.
Quali consigli può dare un pescatore ad un cuoco?
“Innanzitutto quello di comprare il pesce, qualsiasi pesce, quando è giovane, perché è decisamente più buono, soprattutto quello dell’Adriatico e, in particolare, per l’utilizzo nelle crudità. Poi, se giovane, non fa male, non ha avuto un’alimentazione intaccata da fattori negativi, tipo il mercurio o le microplastiche. Poi, imparare a scegliere, chiedendo, con che tipo di rete è stato pescato. Le reti a posta trattengono il pesce immobilizzato per 10/15 ore, perdendo gusto e qualità. Pescare con la rete a strascico, invece, va eseguita con reti piccole, tirate a bordo ogni due ore; questo fa sì che il pesce non venga martoriato”.
Voi, in barca, come agite?
“Durante il rientro il pesce viene eviscerato, diviso per tipologia, messo nelle celle, sempre accompagnato da tanto ghiaccio. Anche questo è importante che sia certificato perché dà maggiori garanzie di quello che si produce a bordo. Poi ci si collega con il mercato ittico e, da quel momento, ha inizio l’asta. Una volta assegnato, termina il ruolo del pescatore ed entrano in gioco altri fattori, come il processo di surgelazione e consegna”.
Un ultimo suggerimento, però, Nevio Torrisi lo vuole dare: “Il pesce va pulito e mangiato con le mani, per capirne freschezza e gusto. Quando senti le mani appiccicose, vuol dire che il pesce è fresco, capito?!”
Cosa mai potrebbero fare un cuoco stellato e un pescatore stellato, insieme?!
Luigi Franchi