La scelta di vita
Nel cuore il desiderio aprire una trattoria, dove proporre cibo quotidiano figlio dei frutti di quella terra che lui stesso avrebbe coltivato. E a questo ha dato vita insieme ai suoi genitori. Gli dava forza, nel cambio di rotta, la chiara percezione che un bisogno di nutrirsi diversamente che stava nascendo nella stessa clientela, a partire da quella costretta a stare ogni giorno fuori casa. “Sentivo che i tempi erano maturi e che in qualche modo avrei assecondato un’esigenza” ricorda Pietro. Da qui ha preso il via così una storia di linearità e coerenza che ha visto al centro l’orto, la vera scelta intorno a cui ha costruito la sua intera attività.
Quell’orto così ricco e generoso, che Zito invita i clienti a visitare sotto guida sua o di un collaboratore ("senti la differenza di profumo tra questa mentuccia e quest'altra... questa è meglio utilizzarla per..., l'altra per...") perché si prendano coscienza di ciò che mangeranno, quello stesso orto che è pure creatura così sensibile al mutare delle condizioni climatiche da determinare a volte rallentamenti sul cambio del menù stagionale. E quest’anno addirittura uno anche uno stop sul finire di gennaio, con conseguente chiusura del locale per 20 giorni, a causa della gelata più terribile registrata dal ’56 a oggi.
Proprio questa concezione di orto vero, a cui è riconducibile la paternità di tutti i piatti di Pietro, dolci compresi, ha superato la portata del valore aggiunto, peraltro oggi abusato anche da ristoratori che hanno minuscoli fazzoletti di terra, assurgendo al ruolo di “cordone ombelicale”, come lui stesso lo definisce, per la sua attività.
“È un grande impegno questo orto – spiega Pietro - e anche un costo non indifferente. Quasi tre persone ci lavorano, come dipendenti! Ultimamente ho inserito un ragazzo pakistano. Bisogna vedere come mio padre, Francesco, 84 anni, supervisore dell’orto e collante rispetto alla cucina, gli sta insegnando con pazienza i segreti del mestiere, come si fa con un bambino. Si è preso cura di lui”.