Il panino
McDonalds entra in pizzeria, ma solo come azione di protesta dei pizzaioli contro il discutibile spot fatto dalla multinazionale per promuovere il suo menu Happy Meal.
Infatti
Sergio Miccù, presidente dell'associazione pizzaioli napoletani, e Francesco Emilio Borrelli, hanno organizzato l'esposizione del panino del fast food a fianco di una pizza in diversi locali napoletani: "viso che McDonald's è in vena di paragoni – spiegano – è bene farli in tutti i locali napoletani mostrando cosa ci danno a mangiare loro e cosa invece le nostre pizzerie”.
L’antefatto risiede appunto nello spot in cui McDonald’s chiede un Happy Meal è scorretto perché discredita la categoria dei pizzaioli, induce in errore sulle corrette abitudini alimentari dei bambini, abusa dei naturali sentimenti dei genitori verso i figli, e gioca sulla naturale credulità e mancanza di esperienza dei piccoli in materia alimentare. Per questi motivi
Il Fatto Alimentare ha inviato ieri una richiesta di censura all’Antitrust e al Giurì dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria chiedendo il blocco immediato del messaggio in onda su televisioni e anche su You Tube.
Altre iniziative sono state attivate sia sul piano politico (Valeria Ciarambino, candidata alla presidenza della Regione Campania per il Movimento 5 Stelle, presenterà un ricorso all’Agcom per chiedere di oscurare lo spot di McDonald’s che spaccia un suo hamburger come cibo per bambini più sano di una pizza), sia da parte dei pizzaioli di tutta Italia, a partire da Gino Sorbillo che ha lanciato, come risposta, il menu Happy Pizza.
Il Fatto Alimentare, nella sua azione di protesta, per bocca del direttore Roberto La Pira, ricorda che “nel 2011 in Brasile McDonald’s è stata condannata a pagare una multa di 1,3 milioni di euro per pubblicità ingannevole. L’accusa rivolta dalla fondazione di difesa del consumatore Procon di San Paolo era di diffondere cattive abitudini alimentari ai bambini enfatizzando la presenza di un giocattolo in omaggio nella confezione dell’Happy Meal. Più di recente la catena è stata censurata su nostra richiesta per un finto articolo classificato come pubblicità mascherata sul settimanale Vanity Fair”.
Luigi Franchi