Alcune sere fa sono stato a cena in un locale, nel cuore di una serena città, che vanta la stella michelin, una storia professionale dello chef e del maître ricche di esperienza e passione, un bistrot che consente probabilmente di pareggiare i conti che comporta essere riconosciuti e celebrati dalle guide. Lo dico dopo che ho contato i coperti del locale stellato (circa una quindicina) pur tutti occupati.
La sera è trascorsa al bistrot, degustando piatti di una freschezza inaudita e ricchi di semplice originalità, e si è conclusa con una conversazione, quasi intima nei toni, con lo chef prima e con il maître poi. Non è stata la solita conversazione sulla filosofia di cucina o sui problemi della sala.
Entrambi hanno dato voce ad uno sfogo rispetto ai problemi veri che affliggono la maggior parte di chi fa questo lavoro: il racconto di chi si è trovato a risolvere aspetti societari con persone che poco o nulla conoscono di questo mestiere, la decisione di andare avanti comunque mettendo nell’attività tutti i risparmi di una vita (e anche qualcosa di più), il ritagliarsi uno stipendio misero (per far fronte alle spese di gestione) facendo leva sulla giustificazione che “tanto mangiamo qui al ristorante e viviamo sempre qui dentro senza altre spese”, la stritolante burocrazia cheti condanna a multe assurde per un ritardo di un’ora nel segnalare un voucher del personale a chiamata.
E poi l’amarezza di chi sta pensando alla proposta di andare a vivere all’estero, dove chef e maître italiani sono tra le figure più richieste e ben pagate, che si conclude con una domanda che entrambi si stanno facendo, riguardo alla gestione del loro locale nella bella e serena città italiana: può un sogno avere un costo così alto?
La risposta è ovvia: no, non può costare così tanto. Soprattutto se quel sogno viene regalato agli altri, se a beneficiarne sono i clienti come noi, che spesso non sanno cosa ci sta dietro alla gestione di un ristorante, che sicuramente ne sanno più di qualche anno fa sui costi delle materie prime ma ancora nulla conoscono dei problemi gestionali e amministrativi di un pubblico esercizio.
Ma quel sogno appartiene anche a noi, appartiene a tutta la filiera che porta ad un piatto e a un vino straordinari, ad una serata in cui ci si può liberare dei pensieri quotidiani perché si è ben accolti in un locale dove tutti, dai ragazzi in sala alla brigata di cucina, stanno lavorando per farci star bene.
Allora proviamo a modificare, noi consumatori e noi giornalisti, i soliti criteri con cui giudichiamo un ristorante e diamo la parola a chi ci lavora ogni giorno, e a chi lavora per loro ogni giorno (produttori e distributori) facendo in modo che questa filiera abbia davvero voce in capitolo per questo Paese dall’economia malata. Forse così il sogno resterà in Italia e sarà davvero di tutti.
Luigi Franchi