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Quali elementi definiscono la figura dello chef? L'esperienza di Marco Caputi

25/03/2022

Quali elementi definiscono la figura dello chef? L'esperienza di Marco Caputi

Ha trentadue anni e da sette lavora al Maeba Restaurant, ad Ariano Irpino (AV) un ristorante costruito in un vecchio frantoio del 700. Marco Caputi, diplomato all’istituto alberghiero, si è formato sul campo attraversando svariate cucine, ma una l’ha segnato: Casa del Nonno 13, a Sant’Eustachio, in provincia di Salerno.

“Lì ho capito cosa significa amare questo lavoro: essere attenti al cliente, ben organizzati, avere una certa solidità di pensiero, scegliere con coerenza i prodotti che intendi preparare e valorizzare. Non elevo questa esperienza rispetto alle altre, credo che tutto aiuti a fare le ossa, ma sicuramente se incontri le persone giuste, il locale d’esempio, ti arricchisci molto. Per diventare chef serve però una buona predisposizione ad accogliere, altrimenti può piombarti addosso anche il ristorante migliore del mondo ma non riesci a cambiare marcia”.

Uno dei piatti in carta da Marco CaputiUno dei piatti in carta da Marco Caputi

È curioso chiedergli quando e perché ha deciso di intraprendere la strada da solista.

“Se hai voglia, se senti di poter costruire un tuo progetto, quello è il momento giusto. Non sei più un cuoco in quel momento, vuoi assumerti più responsabilità. Così è stato anche per me quando ho deciso di sposare il progetto Maeba. La parte tecnica e quella esecutiva sono rimaste, ma si sono aggiunti molti altri requisiti, come la capacità gestionale, la misura, il coraggio di far uscire la propria identità in un ristorante in cui la tua cucina è protagonista ma deve essere complementare alla sala. Quando diventi chef passi dal replicare un piatto a scriverlo di tuo pugno. Sono entrambi operazioni complesse, se non si ha esperienza e talento non si ha il risultato, ma nel secondo caso bisogna avere anche qualcosa da dire!”

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Marco non si è fermato, consapevole che la personalità di uno chef debba essere sempre alimentata da nuove esperienze. “Da Alessandro Gilmozzi, a El Molin di Cavalese, dove sono andato qualche mese per uno stage. Ho imparato davvero tanto. Quando, da chef, decidi di trascorrere del tempo in un’altra cucina non ci vai certo per soffiare le ricette, ma per trarre spunti, capire le modalità, la gestione dei flussi. Ho apprezzato tantissimo lo chef Alessandro che mi ha trattato esattamente come fossi uno dei suoi ragazzi. In quei giorni ricoprendo una carica inferiore a quella a cui ero abituato nel mio ristorante non ho fatto passi indietro, ma dieci in avanti!”

Sullo stesso tema ci hanno detto la loro Valentino Mercattilii icona del San Domenico di Imola e Gianfranco Pascucci chef patron del Pascucci al porticciolo

a cura di

Giulia Zampieri

Giornalista, di origini padovane ma di radici mai definite, fa parte del team di sala&cucina sin dalle prime battute. Ama scrivere di territori e persone, oltre che di cucina e vini. Si dedica alle discipline digitali, al viaggio e collabora con alcune guide di settore.
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