Una domanda che dovremmo farci tutti, molto spesso. Me la pongo su questa rubrica, alla fine del terzo anno di vita di sala&cucina, un magazine nato in seguito ad un cambiamento significativo della proprietà, una cooperativa di distributori operanti nel food service.
Costruire una rivista non è una cosa facile, bisogna partire da un piano economico serio, in grado di reggere un mercato, quello della carta stampata, che in Italia non è sicuramente dei più moderni e dinamici. Metterci dentro i contenuti, ogni mese, capaci di essere sempre interessanti e utili. Trovare il titolo da dare al magazine, che non sia troppo banale e che sappia, in due parole, raccontare il progetto editoriale.
Tutte cose che sono state fatte, partendo da un pool di persone che ci ha creduto e che ci crede sempre di più. Questa è la fortuna che ha accompagnato, in questi tre anni, la crescita di sala&cucina: avere una proprietà e dei collaboratori che credono nel progetto.
Soprattutto scrivere di futuro, guardando a quelle che sono le generazioni che arriveranno ad occupare un mercato, quello della ristorazione italiana, che ha davanti a sé anni di cambiamento radicale.
Per questo abbiamo dato particolare risalto ad un’indagine costante su come lavorano gli istituti alberghieri, sul valore delle persone che insegnano ai ragazzi, sulle difficoltà che i migliori incontrano ogni giorno. Oppure, come in questo numero, di concorsi a cui partecipano i giovani studenti di questi istituti, con l’obiettivo non di portare a casa una medaglia, ma di imparare che quello per cui studiano è un mestiere difficile ma che dà soddisfazioni che nessun altro mestiere può dare.
Abbiamo inserito il termine sala nel titolo di questo magazine tre anni fa, quando parlare di servizio di sala era cosa rara, per non dire di peggio. Oggi la sala è l’argomento all’ordine del giorno di ogni conversazione in cui si affronta la ristorazione. Non è un nostro merito esclusivo ma un po’ ne andiamo fieri, come abbiamo dimostrato con l’ultimo appuntamento di Oltre i Gesti.
Anche per il fatto che la proprietà della testata, ripeto un gruppo cooperativo di distributori alimentari, ha creduto nel progetto, nel piano economico che lo sostiene e che non ha criticità, ma in particolare nei contenuti e nel valore che questa rivista può dare al loro agire. Anche qui è cambiato un sistema: il distributore non è più il fornitore di scatolame, ma sta diventando un consigliere per i ristoranti, fornendo loro prodotti adatti alle loro specializzazioni, li sta aiutando a ragionare in termini di logistica e di food cost. Il ristorante è un’impresa che deve tener conto anche, e soprattutto, di queste cose. Dare emozioni va bene, se dietro c’è una gestione imprenditoriale ineccepibile, capace di guardare al futuro, con criteri di sostenibilità, pulizia e giusto guadagno. Solo così chi ci lavora ha il tempo di offrire all’ospite quella sensazione unica di vivere, per le poche ore in cui è dentro al ristorante, la sensazione di unicità che cerca.
Questi sono i valori in cui crediamo, quelli professionali che viaggiano di pari passo con quelli personali.
“La sola qualità che bisogna pretendere, quando si legge una notizia, in ogni sua forma, è la quantità di fatica che quella notizia contiene; il lavoro e l’intelligenza che sono stati spesi per scriverla. Un indizio quasi infallibile…” (Michele Serra).
Buone Feste a tutti!
Luigi Franchi