Sono quattro le categorie commerciali in cui è suddiviso il riso: riso comune, semifino, fino e superfino. Il primo, dal chicco piccolo e tondeggiante, è adatto per le minestre in brodo. Il semifino ha un'ottima resa per gli arancini, i timballi e i minestroni. Il fino è ideale per le insalate di riso. Mentre il superfino, dal chicco lungo e affusolato, è perfetto per i risotti.
Fin qui la descrizione in etichetta sarebbe l'ideale, se non che le normative comunitarie hanno specificato che le categorie produttive, decise sulla base dei parametri biometrici, in cui suddividere il riso sono tre: riso tondo, medio e, lungo A e B.
A questo si aggiunga che le varietà di riso registrate nel Catalogo Comunitario, a fine dicembre 2007, erano 263, di cui ben 143 italiane, per non parlare delle varietà complessive nel mondo, stimate in circa 80.000, e la necessità di chiarezza verso gli utilizzatori, professionali e consumatori, comincia a diventare un'esigenza primaria. Siamo ben lontani dai tempi dell'Orto dei Semplici della Scuola Salernitana dove, verso il 1442, venivano messe a coltura, per la prima volta in Italia, le pianticelle di questo cereale importato dagli arabi, insieme alla pasta, in Sicilia attorno all'anno Mille. Da lì, in pochi decenni, il riso trovò la sua patria al Nord, nei prati irrigui tra Vercelli e Pavia, dove ancora oggi si produce il 92% del riso italiano.
TANTE VARIETÀ DA PROMUOVERE
L'Italia, con i suoi 238.000 ettari di risaie, è il principale produttore europeo, per un totale di 1,6 milioni di tonnellate di riso greggio da cui si ricavano 962.000 tonnellate di riso lavorato, pari al 52% del riso europeo e allo 0,30% della produzione mondiale. Arancini di riso siciliani, sartù di riso napoletano, risotto come piatto principale della valle del Po, abitudini gastronomiche contemporanee che corrispondono, a distanza di secoli, al percorso compiuto dal riso in Italia; infatti, nel centro non esiste tradizione del riso. A spiegare questa tesi è Giovanni Dragoni, proprietario, a Borghetto Lodigiano, sul confine orientale della vasta area di produzione della Pianura Padana, della RisoDragoni s.n.c., la cui storia risale al 1890: “Le varietà hanno fatto la storia e, per certi aspetti, la fortuna del riso italiano. Il Carnaroli, il re dei risotti come viene definito, è stato selezionato proprio qui nel Lodigiano, a Paullo, dal risicoltore De Vecchi, e registrato come varietà nel 1945. Oggi ritengo che la cosa più importante, con la costante ricerca a cui è sottoposto il riso italiano, sia migliorare le varietà storiche, concentrando su di esse la promozione e la comunicazione.” Le varietà storiche italiane sono Arborio, Roma, Originario, Carnaroli, Baldo, S.Andrea, Vialone Nano; queste coprono il 64% dei consumi italiani, che ammontano complessivamente a 298.571 tonnellate, suddivise tra il 73% consumato in casa e il 27% fuori casa. Oltre a queste, la parte dominante del mercato, da alcuni anni, è detenuta dalla varietà Ribe che subisce un trattamento, il parboiled, che lo rende resistente in cottura senza scuocere e con i chicchi che rimangono ben sgranati. Il trattamento è la riscoperta di un antichissimo metodo di trasformazione, già in uso tra gli antichi egizi, da parte degli americani durante la seconda guerra mondiale, per le sue caratteristiche nutrizionali e di lunga conservazione. Questa varietà è al primo posto per consumo in Italia che, in ogni caso, non si discosta da molti anni dai circa 5 kg procapite.
Il riso nella Coltura&Cultura
CONOSCERLO PER SAPERLO SCEGLIERE
“Ci sono variazioni, nella scelta delle varietà, come la crescita dei risi orientali, basmati e thailandese, ma il consumo rimane costante da molto tempo. Purtroppo il consumatore compra ancora il riso, una volta che ha finito la scatola che tiene in casa e anche la scelta è dettata da fattori che non c'entrano con la qualità: il colore della scatola, il prezzo, la velocità di preparazione”, afferma Giovanni Dragoni. Diversa è la situazione quando si tratta di mercato professionale, dove il cuoco, sia che si tratti di ristorazione che di mensa collettiva, presta molta attenzione a varietà e tipicità italiana.
“Il ristoratore è sempre a conoscenza del riso di cui ha bisogno. Predilige il Carnaroli per i risotti e, in seconda battuta, il Parboiled per la tenuta di cottura e le caratteristiche di maggior nutrizionalità” – spiega Luca Pregnolato, grossista di Copral di Imperia. Noi siamo molto attenti alle proposte che facciamo al mondo della ristorazione, assecondando le loro richieste di un riso che abbia, in etichetta, la provenienza italiana, considerata un valore aggiunto molto importante.”
Il parere del Professor Giorgio Calabrese
LA RISTORAZIONE DEVE SAPERLO VALORIZZARE
Gli fa eco Palmerio Saba, direttore Foodservice di Riso Scotti: “l'attenzione ad uno stile alimentare equilibrato accompagna sempre di più anche i pasti fuori casa. Il ristoratore, attraverso la sua arte culinaria, deve poter proporre quella cura del cibo e dei condimenti con ricette gustose, golose e sfiziose, capaci però nello stesso tempo di rassicurare coloro che desiderano mangiare oltre che per piacere per stare bene. Questo ci ha portato a valorizzare la materia prima al cento per cento: un esempio di ciclo integrato, che sfrutta tutte le risorse, azzerando gli scarti di produzione e, di conseguenza, qualsiasi impatto di tipo ambientale. E questo risultato non è poca cosa nel settore risiero, in cui tradizionalmente lo sfrido di lavorazione è pari al 40% circa in peso della materia prima.” Affermazioni che testimoniano una competenza e conoscenza diffusa del prodotto nel mondo professionale. Mentre, nella visione del normale consumatore, il riso non riesce a modificare il ruolo di semplice commodity, in parte trasformato dalla tecnologia nel suo contenuto di servizio.
“Oggi essere marca nella commodity non basta più. Non è più sufficiente garantire know how, qualità, standard; offrire al consumatore quel patrimonio valoriale che la marca porta con sé. Bisogna saper comunicare dei vantaggi reali”, sostiene Laura Quattrocchi, responsabile della comunicazione di Riso Scotti. Forse dalla Pacciada del bravo Gianni Brera si possono ancora trarre dei buoni consigli per la comunicazione sul riso, quando scrive: “La cerimonia alla quale assisto contempla la soddisfazione materiale e morale di sei persone sedotte da Marzia dei risotti semplicemente azionando il suo impareggiabile cucchiaione di legno”.
Gabriele Ferron, lo chef del riso