Mettersi in proprio
Dopo circa quattro anni arriva la decisione di tentare una strada in proprio. La scelta cade sulla possibilità di gestire una trattoria storica, il Cacciatore, a Priabona, paesino di 750 abitanti. “Ci chiedevano 2,5 milioni di affitto, una cifra per quell’epoca (era il 1986), ma proprietario e commercialista assicuravano che il locale era sempre pieno da mattina a sera, avendo anche funzione di bar e tabaccheria. E in effetti si può dire che lì si riversasse l’intero paese. Guadagnavamo bene, ci permettevamo di fare quattro settimane di ferie e al rientro potevamo fare l’appello, tanto era certo che si sarebbero presentati tutti gli abitanti/clienti al completo”.
“Qui il giorno di apertura ho cucinato una porchetta di 30 kg allo spiedo. Lavoravo già con i termometri quindi cottura per irradiazione. Bigoli e braciole erano i piatti che andavano per la maggiore ma io non stavo fermo, desideroso di crescere. Ho così iniziato a confrontarmi con un gruppo di ristoratori con cui si organizzavano serate gastronomiche ‘giudicate’ da altri chef. Lì ho proposto il mio monoporzione per il ristorante (in quel periodo in molti invece si appoggiavano alla pasticceria). Carichi della fruttuosa esperienza dell’osteria abbiamo maturato di cambiare ancora”.
Trovata una bellissima location aperta da due anni, Il Pozzo, “ci trasferiamo a Mason Vicentino dove arriviamo un po' spavaldi: messi da parte due soldini, auto nuove - e qui Antonio dipinge con simpatia il quadretto - siamo ripartiti praticamente da zero. Distanti 25 km dalla vecchia osteria, non avevamo neanche la consolazione di rivedere troppo spesso certi vecchi clienti affezionati. Nei primi due anni è stata durissima, anche perché ci ostinavamo a proporre pesce come nella gestione precedente, peraltro sottocosto per incentivare il lavoro. A un certo punto abbiamo deciso di cambiare rotta e tornare alla nostra cucina tradizionale, perdendo anche quei clienti guadagnati. La svolta arriva con l’idea di organizzare corsi di cucina nel ristorante, nel giorno di chiusura, per le donne del CIF”. Tre corsi nell’arco di un anno hanno portato un centinaio di donne a gravitare nella loro cucina, vedendo come lavorava Flavio, assaggiando rigorosamente i piatti dell’intero menù preparato espresso, in un parola avvicinandole a loro.
Da qui è partito tutto: hanno iniziato ad arrivare richieste per cresime, comunioni, battesimi…
Un altro aspetto da non sottovalutare era che quella è zona di ciliegie, le ciliegie di Marostica. E Mason Vicentino è il luogo in cui si batte l’asta.
“Avevamo notato che più di commercializzare le ciliegie non si faceva. – racconta Flavio - Nessuno si era attivato per lavorarle, trasformarle. Così abbiamo iniziato a muoverci in tal senso. Tramite il macellaio ho conosciuto la signora Bianca Sperotto, detentrice di un’antica ricetta della torta di ciliegie. L’ho invitata nella mia cucina e mi ha insegnato la ricetta. Dal canto mio ho modificato alcuni ingredienti (ad es. lo strutto) e l’ho resa un tantino più nobile, poi l’ho donata al Comune, perché tutti la potessero realizzare. Da quel momento si è creato una sorta di rituale per cui ogni volta che c’erano iniziative (dalla presentazione della sagra delle ciliegie a ricorrenze istituzionali) venivamo coinvolti per preparare buffet dolci e salati a base di ciliegie. Piccoli assaggi nei pirottini, per non sporcarsi le mani, quelli che adesso chiamano finger food!”
“Sempre a proposito di ciliegie - prosegue Flavio - ho creato in un angolo del locale una sorta di dispensa con ciliegie sotto grappa o distillato di ciliegie, torte e marmellate tutte preparate da me. La gente spendeva quasi più per la dispensa che per la cena. L’ultimo anno di permanenza lì ho confezionato 320 torte in 40 giorni, ospitato dal fornaio di notte per cuocerle, dopo l’uscita del pane dal forno!”
Così i due fratelli hanno innescato un’usanza che è rimasta e si è perpetrata in quel territorio (e tutt’ora si perpetra) oltre la loro permanenza.