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Robert Fortune e “il furto” del tè

18/01/2024

Robert Fortune e “il furto” del tè

Il primo caso di spionaggio industriale della storia è avvenuto a causa del tè. Verso la fine del XVI secolo, la bevanda stava iniziando a prendere piede in Europa, attraverso una conquista culturale di cui si fecero promotori Olanda e Portogallo. Ben presto si diffuse anche in Gran Bretagna, grazie al matrimonio celebrato nel 1662 tra il Re Carlo II d’Inghilterra e Caterina di Braganza, sorella dell’allora sovrano portoghese. La donna portò nel regno il consumo di tè, che era ormai ampiamente diffuso nelle sue corti natali, facendo appassionare i suoi nuovi sudditi alle cerimonie di consumo della bevanda. Se inizialmente il tè era un prodotto fondamentalmente destinato alle élite, nell’800 il consumo si estese a tutta la popolazione, compresi gli operai. 
 

Al tempo la totalità dell’approvvigionamento di tè del regno era basata sugli scambi commerciali con la Cina, che però accettava di scambiare il prodotto solamente con l’argento. Ma a causa della fortissima domanda le riserve dell’Inghilterra iniziarono a scarseggiare, così la Compagnia delle Indie Orientali, che al tempo deteneva il monopolio sul commercio asiatico del regno, decise di provare a importare le coltivazioni in India, per far diventare la corona autosufficiente nella produzione. 

Robert FortuneRobert Fortune

Fu così che nel 1848 venne scelto un botanico scozzese da impiegare per il furto delle semenze della pianta del tè dove questo cresceva in maniera più florida, ovvero in Cina. Il suo nome era Robert Fortune. Figlio di contadini e al tempo dipendente del giardino botanico di Edimburgo, Fortune era uno dei massimi esperti di botanica cinese. Il 14 agosto dello stesso anno l’uomo sbarcò a Hong Kong, e da lì iniziarono le sue due spedizioni sotto copertura, per sottrarre non solo le sementi delle piante, ma anche i processi di produzione del tè nero e verde.

 Viaggiare in Cina per un occidentale a quel tempo era molto rischioso, anche a causa della prima guerra dell’oppio, vinta dagli inglesi, che aveva umiliato la popolazione cinese e fatto nascere una forma di nazionalismo molto ostile nei confronti dell’occidente. Tra mille pericoli gli ci volle un anno per completare la missione, ma quando, dopo aver raccolto il bottino, spedì i semi in India, questi non attecchirono, e l’uomo fu costretto a tornare nuovamente in spedizione. 

Il tè delle cinque, Mary Cassatt, 1880, Museum of Fine Arts di BostonIl tè delle cinque, Mary Cassatt, 1880, Museum of Fine Arts di Boston

La seconda spedizione si concluse nel 1851, quando Fortune si imbarcò insieme al suo bottino e tornò in India. Alla fine della sua missione erano state introdotte oltre 20000 piante nella regione di Assam, che stavolta non ebbero alcun problema ad attecchire. Grazie a Robert Fortune l’Europa scoprì che tè nero e tè verde non erano i prodotti di due piante differenti, come si era sempre pensato, ma che in realtà la differenza era causata dalla differente lavorazione delle foglie una volta raccolte, come raccontò nel suo libro “Journey to the tea countries of China”, pubblicato un anno dopo il suo ritorno in patria. Il furto del botanico e la conseguente produzione indiana di tè riuscirono a sopperire alla fortissima domanda inglese e il paese in poco tempo diventò il più grande consumatore europeo della bevanda. Ancora oggi l’India è di fondamentale in portanza per la coltivazione del tè, grazie alle sue enormi quantità prodotte che la rendono la seconda produttrice al mondo.  

a cura di

Federico Panetta

Varesotto di origine, è come una biglia nel flipper dell'enogastronomia. Dopo la formazione alberghiera lavora in cucina e si laurea in Scienze Gastronomiche presso l’Università di Parma. Oggi si occupa di comunicazione gastronomica collaborando con diverse riviste di settore.
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