Festa a Vico è, come recita il nome stesso, una festa. Lo abbiamo letto e sentito decine di volte nelle settimane che hanno preceduto questa nona edizione appena conclusasi. Così e nata e così vuole continuare a restare, nonostante il moltiplicarsi annuale della stampa accredita e degli chef che chiedono insistentemente di poter presenziare.
Se ha ragione
Stefania Moroni, la figlia di Ajmo e Nadia, quando afferma che “qui non si pretende di voler dire nulla, l’immagine non viene comunicata e il bello è che non devi dimostrare niente a nessuno”, come in ogni festa che si rispetti, è pur vero che oggi, o forse da sempre, se si mettono insieme tante persone a fare la stessa cosa e altrettante a osservarle oltre che per un indiscusso fatto di piacere anche per lavoro, la molla della competizione, della sfida, del mostrarsi al meglio, volente o nolente, stella o non stella, scatta. Non a tutti, certamente: ma qui entrano in gioco fattori come l’autostima, la sicurezza nei propri mezzi, l’ego, che non è nostro compito indagare.
Una sessantina di cuochi così detti emergenti e un centinaio di “Signori” della ristorazione si sono divisi la scena delle due serate culinarie costruite attorno al tema
“… e tutti giù per terra. Ovvero, il mio piatto da fine del mondo”.
Lo ammettiamo: non siamo riusciti ad assaggiare tutte e centosessanta le delizie del palato che vedevamo scorrere davanti agli occhi, ma quello che abbiamo sperimentato ci è piaciuto, e molto. E se è vero che si sperimenta con tutti i cinque sensi, quella che segue è la nostra personalissima “lista dei preferiti” di Festa a Vico 2012:
- Il distretto perpetuo del buono, del bello e dell’autentico che
Enzo Vizzari ritrova in Vico e nella Campania tutta
- L’esame di realtà di
Max Bergami, secondo cui questa crisi, quando passerà, non ci farà tornare al modello del 2006-2007, ma dovremo guardare avanti e lavorare sodo non diventare più affidabili, più credibili, e più bravi, lasciando gli esercizi di stile nel cassetto per guardare alla sostenibilità e all’identità
- La cultura del recupero delle tradizioni gastronomiche che l’
Associazione Nazionale Cuoche a Domicilio promuove esattamente da un anno in tutta l’Italia preparando le persone al gusto e alla conoscenza degli alimenti
- I tortellini in brodo serviti in tavola nella zuppiera fumante e l’insalatina di pomodori e rucola che vorrebbe mangiare
Fausto Arrighi l’ultimo giorno della sua vita perché non li trova più in nessun ristorante e i suoi tre consigli per il giovane neo-ristoratore contemporaneo: prezzi contenuti, piatti semplici, empatia con il cliente
- Il progetto “L’Amo” di
Valentina Tepedino, mirato alla promozione della spesa consapevole dei prodotti ittici italiani, la prima rete che mette in contatto produttori, distributori, ristoranti e consumatori per far conoscere e apprezzare gli oltre mille pesci di cui è ricco il nostro mare.
- le birre senza glutine promosse da
Alfonso del Forno
- il profumo della macchia mediterranea con i suoi corbezzoli, giuggiole, sorbe, mirti, tigli, ulivi, ciliegi, pini, lentischi e con tutto il suo patrimonio di erbe spontanee
- il sangue freddo misto all’innata e mai stanca simpatia di San
Gennaro Esposito, padrone di casa generoso come ce ne fossero
- e per venire a loro, i cuochi, la professionalità percepita ad ogni banco di assaggio da stellati e aspiranti tali e dal loro staff, veloce, metodico e concentrato anche tra sorrisi, battute e interviste lampo
- Le uova cucinate in tutte le salse e per tutti i gusti in modo eccellente che non si discutono
- La morbidezza delle marmellate spalmate sul pane croccante e le variazioni di cioccolato nella maratona dei sapori firmata da
Gianluca Fusto e Andrea Besuschio a colazione
- E i piatti delle due serate: l’elenco sarebbe francamente troppo lungo, abbiamo deciso quindi di citarne solo due. Il Maya-le di
Dino De Bellis e Massimiliano Sepe del Salotto Culinario a Roma, per la categoria “Emergenti”, per l’intuizione concretamente divertente che fonde alla perfezione il sapore italianissimo della porchetta con quello centroamericano de mais e, per i Senior, l’Infarinata di Vitello sanato all’erba lippia e Mostarda di pomodoro cucinato da
Alessandro Negrini de Il Luogo di Ajmo e Nadia a Milano, perché fa parlare ingredienti di tutta l’Italia, dal nord al sud, in un’unica lingua che ricorda la poesia
Non abbiamo stilato una lista delle criticità perché non crediamo nella politica delle polemiche, soprattutto se non c’è alcun motivo reale e costruttivo per farle, e soprattutto quando si è stati ospiti di una festa, come in questo caso. Segnaliamo solo un dato, che ci piacerebbe vedere modificato il prossimo anno quando Festa a Vico taglierà il traguardo del decimo anniversario con il tema “Tu vò fa l’americano” (sul quale si potrebbero spendere fiumi di inchiostro): le “tredici a tavola”, ovvero le sole tredici donne chef presenti, chissà che non diventino molte di più. Ce lo auguriamo.
E chissà che alla fine del nostro mondo, qualunque essa sia, ci resti almeno la nostra identità.
Alessandra Locatelli
Foto di Ezio Zigliani
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