Che senso ha che il 76% dei giovani, al di sotto dei 25 anni, condivida l’idea che lavoro, carriera e futuro si trovino fuori dall’Italia? E che un giovane su cinque non studia e non lavora?
Che senso ha che un quarto degli italiani sia a rischio povertà o esclusione sociale, con una punta del 57% nelle regioni meridionali? E che, nel 2010, con tutte le affermazioni che si sono moltiplicate sulla fine della crisi, in 500.000 abbiano perso il lavoro? In quale altro Paese evoluto 800.000 donne si devono dimettere dal lavoro o vengono licenziate a causa di una gravidanza? E che solo 16 su 100 escano da una condizione di precariato, mentre gli altri lavorano a vita in situazioni senza certezze e garanzie?
E il nostro settore? Che senso ha che gli italiani pur di non rinunciare all’ultimo modello di cellulare e tecnologia high tech, riducano la spesa alimentare portandola dal 17,3% al 16,5% del totale dei consumi?
Questa è la fotografia impietosa che emerge dal rapporto annuale dell’ l’ISTAT presentato ieri a Roma alla presenza del presidente Napolitano. Un'altra Italia dura e lontana da chi fa politica e si occupa sulla carta del Paese. Un’Italia che ha “riportato indietro le lancette della crescita, di ben 35 trimestri, quasi dieci anni”. Ma ci deve essere un’Italia che non è sorda: chi ha un posto da difendere come per chi lo sta aspettando, un’attività da gestire, o un’azienda da condurre.
La teoria della colpa sempre degli altri, oggi non è più sostenibile. Ognuno deve fare uno sforzo, lo devono fare, per restare al settore di cui ci occupiamo, le imprese, agricole e di trasformazione, con uno sforzo maggiore di informazione e trasparenza sul valore del cibo. Garantire qualità al cibo significa più salute e benessere per tutti. Lo deve fare la distribuzione retail e ingrosso in tutti i canali, dando maggiore importanza ai prodotti nazionali e del territorio. Lo sforzo devono farlo i consumatori verso un riequilibrio dei consumi famigliari discernendo con più sagacia l’utile dal superfluo. Si può vivere anche con un solo cellulare, ma non si vive senza una dieta equilibrata in grado di garantire una crescita sana. E non per ultimo lo devono fare le istituzioni col buon esempio, avendo una visione prospettica del futuro e una giusta crescita del Paese.
Roberto Martinelli