Dai marchi storici ai grandi gruppi, dalle piccole realtà alle griffe più famose e consolidate: anche nel mondo del vino nessuno resta insensibile al richiamo del biologico. Tanto che alla viticoltura bio, in Italia in costante aumento, Vinitaly dedica un apposito spazio, denominato Vinitalybio.
Se le motivazioni per le quali sempre più aziende passano al biologico sono diverse (dal tentativo di attrarre un numero crescente di consumatori alla volontà di differenziare la produzione, dall’attenzione per l’ambiente al desiderio di sperimentare), uno solo, inconfutabile, è il dato di fatto: con oltre 45mila aziende vitivinicole biologiche (circa il 17% del totale europeo) il nostro Paese è primo in Europa in questo settore, seguito da Spagna (12% dell’Ue) e Polonia (10%; fonte: ultimi dati disponibili al 31 dicembre 2013 di “Bio in cifre 2014” del Sinab-Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica su dati del Ministero delle Politiche Agricole e Organismi di controllo).
E se a livello mondiale la superficie coltivata secondo i dettami del biologo supera l’1,3 milioni di ettari (+12,8% sul 2012), per un giro d’affari complessivo che si aggira sui 3 miliardi di euro, solo in Italia si contano più di 44mila ettari vitati, cui si aggiungono gli oltre 23.700 ettari in conversione, per un totale che supera i 67.900 ettari: il 18,5% in più rispetto al 2012. In netta controtendenza con le superfici viticole totali, dunque, che nel 2013 si sono attestate sui 646mila ettari (contro i 655mila dell’anno precedente), le aree passate al biologico esibiscono una dinamica positiva, arrivando a un’incidenza dell’11% sul totale, con Sicilia, Puglia e Toscana in testa alla classifica delle regioni più inclini ad abbracciare questa filosofia. Dal punto di vista della produzione, invece, nel 2013 si sono sfiorati i 5 milioni di quintali di uva da vino, equivalenti a circa 3,5 milioni di litri (il 7% del totale nazionale).
L’elenco delle cantine e delle realtà che rientrano in questo trend non è breve, come dimostra la recente indagine realizzata da Vinitaly: comprende ogni territorio della Penisola e annovera realtà blasonate come Marchesi de’ Frescobaldi, che sta adeguando la sua produzione al biologico a partire da Castelgiocondo, la tenuta di Montalcino. Anche Tenute Lunelli del Gruppo Lunelli ha intrapreso una totale conversione, a cominciare dalla toscana Podernuovo (i vigneti trentini, invece, sono iscritti al registro della certificazione biologica dal 2014). E se in Trentino, La-Vis e Cavit rappresentano la produzione bio dei colossi della cooperazione enoica, in Franciacorta Barone Pizzini ha sposato il biologico fin da tempi non sospetti, così come La Raia in Piemonte.
La lista è ovunque in costante aggiornamento. Solo per citare qualche esempio in Toscana: Avignonesi si è riconvertita completamente al biodinamico, mentre Salcheto è anche completamente off-grid ed energeticamente autosufficiente. Sono numerose le case history venete, dall’antesignana Fasoli Gino a Paladin con Bosco del Merlo, da Astoria a Cantina Valpolicella Negrar, e, scendendo lungo lo stivale, si possono citare anche San Patrignano, Cleto Chiarli, Lungarotti e Umani Ronchi, Emidio Pepe e la Cantina Tollo (tra i maggiori produttori italiani di vini bio) fino alla campana Feudi San Gregorio. In Puglia il progetto biologico di Polvanera è improntato alla valorizzazione dei vitigni autoctoni, così come la tenuta di Bocca di Lupo di Tormaresca (Antinori), mentre la Sicilia bio va da piccole realtà come Occhipinti e Graci sull’Etna ad aziende più grandi come Firriato o Cos, passando per Centopassi di Libera Terra, che produce vini e prodotti bio nei terreni confiscati alla mafia.
Mariangela Molinari