All’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo è tempo di bilanci, con l’assemblea straordinaria dei soci sostenitori, tenutasi a dicembre, e le prime “giornate aperte” dell’anno, dove i futuri studenti possono visitare la struttura e richiedere informazioni sui programmi didattici.
Questi ultimi sono suddivisi in tre offerte, integrate da numerosi viaggi e trasferte all’estero: un corso di laurea triennale in scienze gastronomiche, per i futuri gastronomi, una laurea specialistica, per formare esperti di turismo gastronomico e di promozione dei prodotti alimentari di qualità, e, a cadenza annuale, un Master in food culture and communications.
Il master è a sua volta suddiviso in tre indirizzi: “Human ecology and sustainability”, “Food, place and identity” e “Media, representations and high quality food”. Come i titoli dei corsi lasciano immaginare, anche le lezioni sono interamente in lingua inglese, per preparare gli studenti a lavorare in un contesto internazionale.
Ma ce n’è davvero bisogno? Se si scorrono le liste delle iscrizioni degli ultimi sette anni (il 2004 è stato l’anno di fondazione della scuola, su progetto di Slow Food) è possibile apprezzare l’alta percentuale di alunni stranieri, circa il 48% dei 1009 studenti frequentanti, che hanno raggiunto la piccola Pollenzo (748 abitanti, frazione di Bra) da oltre 60 Paesi del mondo. Degli iscritti, il 22% ha potuto usufruire di una borsa di studio totale o parziale.
La scuola assicura un’ottima possibilità di placement dopo la laurea: il 74% dei laureati risultano, infatti, occupati, a fronte del 18% che ha proseguito gli studi e dell’8% che non ha ancora trovato lavoro. Degli occupati, e questo è il dato più significativo, il 60% ha trovato lavoro appena due mesi dopo la laurea.
“È sicuramente un’università spettacolare – ha raccontato Michele Crippa, laureando alla triennale di scienze gastronomiche – che ti porta a conoscere da vicino, grazie ai numerosissimi viaggi e trasferte, il significato della parola qualità. Si parte dal contatto diretto con i prodotti e i produttori, per poi approfondire la loro storia dal punto di vista umanistico e scientifico”. Lo studente, classe 1989, è già “direttore di relais” dell’Antica Corte Pallavicina di Massimo Spigaroli, nella Bassa Parmense: “Le convenzioni che l’Università ha stipulato con le grandi aziende possono dare a un neolaureato la possibilità di entrare subito nel mondo del lavoro. Per conto mio, ho iniziato la mia carriera sette anni fa, in cucina, come chef, nello staff di Spigaroli, e intendo proseguire la mia carriera con lui”.
“Sono entrato in cucina a undici anni – ha raccontato Ben Reade, di Edimburgo, anche lui laureando di scienze gastronomiche – Dopo aver lavorato in diversi ristoranti, sono arrivato all’Università di scienze gastronomiche, ed è qui che ho cominciato a vedere il cibo in un’altra prospettiva. Adattando le antiche ricette alle nuove tecnologie si possono creare alimenti davvero innovativi. Ho potuto mettere alla prova le conoscenze acquisite all’Università nel Nordic Food Lab di Rene Redzepi, lo chef del ristorante Noma di Copenaghen”.
Tra i progetti in corso all’Università di Pollenzo, è degno di nota quello che raccoglie le testimonianze degli studenti in visita ai produttori artigianali per creare un immenso archivio digitale di esperienze, conoscenze, tecniche e costumi di un mondo in via di scomparsa. Sono i Granai della Memoria, un progetto fortemente voluto da Slow Food, tra poco online, coordinato da Piercaldo Grimaldi e finalizzato a trasmettere alle generazioni future il sapere “artigianale” di una volta.
Jacopo Franchi