Mentre cucino lavoro di immaginazione
Tra un gesto e l'altro, lavoro molto di immaginazione.
Non lo faccio apposta: è un'attività mentale automatica, spontanea, che parte da sola, o che inizia quando tocco qualcosa.
Tutto quello che faccio e che sento, nella mia mente, si trasforma in immagini, in fotografie o in video.
Davanti ai miei occhi, in questa cucina, tutto prende forma e colore. Le carote si tingono di arancione, le zucchine di verde chiaro e scuro; il tagliere diventa di un bianco quasi trasparente, il pelapatate rosso con la lama d’acciaio, il coltello col manico nero e la lama luccicante, il pentolino grigio, il piano della cucina bianco, gli sportelli marrone chiaro …
Ogni oggetto acquisisce varie tonalità e sfumature, illuminazione e profondità, in prospettiva rispetto alla luce che arriva dalla finestra e dal corridoio.
Attribuisco forme e colori a questi oggetti perché li conosco, me li ricordo; oppure, quando mi trovo tra le mani un oggetto che non ho mai visto, faccio domande alla persona che è con me.
Se conosco bene la persona con cui sto parlando, o se l'ho vista almeno qualche volta, creo la sua immagine; se ho confidenza, chiedo com'è vestita e pettinata.
Se invece non l'ho mai vista, immagino, invento in base alle caratteristiche fisiche che riesco a indovinare mediante l'udito.
Il tono della voce rivela lo stato d'animo, l'età e l'altezza di un individuo. Lo stato d'animo aiuta a farsi un'idea dell'espressione del viso, anche se purtroppo è impossibile sapere come sono i lineamenti; bisognerebbe usare il tatto, toccare il volto, ma si tratta di un gesto estremamente confidenziale che si fa solo con i familiari e gli amici stretti.
Per quanto riguarda i luoghi, ricordo bene quelli che ho visto e che continuo a frequentare, abbastanza bene quelli dove torno ogni tanto. Nella mia testa sono archiviate le mappe, i paesaggi, alcuni edifici. Negli ambienti sconosciuti, che siano spazi interni o esterni, costruisco la mia mappa sulla base di ciò che sento con le orecchie e col bastone bianco. So che per favorire l'orientamento dovrei dare la priorità all'udito, però mi viene ancora spontaneo creare la mappa visiva degli ambienti in cui mi muovo.
D’altra parte, nonostante fossi ipovedente, ho disegnato fino all'età di vent'anni; appartengo alla generazione, l'ultima o la penultima, che è capace di tenere in mano la matita e la penna, di riprodurre la realtà in scala, in proporzione, in prospettiva, con la profondità e le sfumature.