Nell’America del vino si guarda ai giovani consumatori, come al segmento di riferimento del futuro. Eh sì, perché già oggi, i consumatori americani tra i 21 e 45 anni mostrano comportamenti, gusti ed atteggiamenti del tutto diversi rispetto agli over 45, quindi nei prossimi 20 anni i distributori e i rivenditori che riusciranno a cogliere il cambiamento in atto, riusciranno a sfruttare una grande opportunità di mercato. Le previsioni avveniristiche sono dettate dalla London International Wine Fair, una delle rassegne enologiche più importanti del mondo, che si terrà a Londra, dal 17 al 19 maggio, parlano di cambiamento per quanto riguarda lo stile e il gusto: per Richard Halstead, autore del rapporto, vincerà la varietà, ovvero la possibilità di spaziare tra più vitigni, stili e paesi.
“I consumatori di vino americani tra i 21 e 45 anni tendono a mostrare comportamenti ed atteggiamenti del tutto diversi, rispetto ai loro omologhi over 45, e sarà interessante vedere come questi diversi gusti disegneranno il paesaggio del vino negli Stati Uniti nei prossimi anni”, ha detto Richard Halstead di Wine Intelligence e autore principale del rapporto.
“I rivenditori, distributori e proprietari di marchi disposti ad abbracciare questo cambiamento si ritroveranno probabilmente al top nel 2030”. Facile pensare allora che la fetta di mercato per il vino proveniente dall’estero sia destinata ad aumentare. “Il mercato del vino negli Stati Uniti rappresenta una delle più grandi opportunità per il mondo del vino nei prossimi 20 anni, specie per distributori e rivenditori. Mi aspetto che questo sia un argomento di conversazione tra espositori e visitatori, che prenderanno parte alla “London International Wine Fair” di quest’anno”, dice il direttore della kermesse londinese, James Murray.
E in Italia, come si guarda al futuro del vino?
La risposta da Giuseppe Martelli, Direttore Generale di Assoenologi e Presidente Comitato nazionale vini del Ministero delle Politiche agricole.
Innanzitutto guardiamo ai consumi interni, che sono in netta caduta libera. Oggi, infatti, si consumano 43 litri annui per persona e, secondo i dati elaborati da Assoenologi, entro il 2015 il consumo procapite scenderà sotto i 40 litri, un terzo rispetto ai consumi degli anni ’70, quando si attestavano a poco meno di 120 litri.
Una situazione che tuttavia è comune a tutti i tradizionali Paesi produttori europei: la Francia è attestata sui 45 litri procapite mentre la Spagna raggiunge a malapena i 20 litri.
Per la produzione vitivinicola italiana quindi l’unica valvola di sfogo rimane l’esportazione. Fortunatamente il prodotto italiano nel mondo piace tanto che il 2010, nonostante la contingente situazione di crisi, si è chiuso con la vendita di 22 milioni di ettolitri di vino, quasi il 50% dell’intera produzione e con introiti del +12,8% rispetto al 2009, dato che segna il recupero della crisi del biennio precedente.
Ovviamente questa situazione di ripresa non è uguale per tutti visto che ci sono aziende con “il vento in poppa” e altre in “profondo rosso”.
Cosa ne dice?
Certamente, ma resta il fatto che il vino italiano sta manifestando eccellenti performance in tutte le parti del mondo sicuramente superiori a quelle dei suoi più diretti competitor.
Può azzardare previsioni per il futuro?
Non mi sento di azzardare previsioni a lungo termine visto che il settore vitivinicolo è soggetto a continue mutazioni in fatto di gusti, di tendenze e di momenti di consumo. Certamente il vino italiano è il più diffuso negli Stati Uniti, dopo gli spumanti, e anche in questo mercato gli Usa rappresentano per l’Italia il secondo Paese importatore, dopo la Germania, con 74 milioni di euro.
Per non parlare del Canada dove, da 2010 l’Italia è divenuto il fornitore leader del mercato, con aumenti a volume da 608 a 669 mila ettolitri e a valore di 246 milioni di euro, il triplo rispetto al 1998.
Come commenta le previsioni sul mercato americano tracciate dalla London International Wine?
Sono d’accordo sull’identikit del consumatore americano, sempre più orientato verso vini con un’identità meno internazionale e più territoriale, ossia verso prodotti autoctoni di cui la bottiglia, oltre ad un indiscussa qualità, manifesta anche cultura e tradizione del territorio. Inoltre il consumatore, sempre più attento e competente, va sempre di più alla ricerca di sensazioni ed emozioni che nell’uva e nel vino ci sono sempre state ma che solo un’adeguata tecnologia negli ultimi anni ha saputo mettere in luce focalizzando al meglio l’evoluzione della tradizione. In fondo, se ci pensiamo bene, cos’è la tradizione se non un’innovazione ben riuscita, consolidata nel tempo, apprezzata e perpetuata da “sua maestà” il consumatore?
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