L’economia del castagno, ha accompagnato l’uomo nel suo evolversi, ed è stata alla base della vita nell’Appennino Tosco-Emiliano dal Medioevo all’inizio del secolo scorso. Un piccolo universo fatto di stagioni, riti, lavorazioni, di conoscenze tramandate di generazione in generazione, con quella preziosa polpa chiara, dolce e nutriente, che raccoglieva attorno a sé un’intera comunità di mestieri, di saperi e di tradizioni.
Poi qualcosa è cambiato, la montagna è stata abbandonata e anche i castagneti, per lasciare spazio a nuovi cibi e a nuovi stili di vita, e ci si è dimenticati dell’umiltà delle mistocche e dei ciacci, dei necci e dei malfatti. Ma esiste ancora una comunità di artigiani operosi che lavora per riportare in luce questo cibo antico. In questo volume, chiamato con ironia
“Sorella castagna, fratello marrone”, ve ne è una folta rappresentanza, fatta di oltre cinquanta tra coltivatori, mugnai, apicoltori, trasformatori e ristoratori della castagna e del marrone.
Qualcuno le chiama
“le ciliegie d’inverno”, perché una tira l’altra, e rappresentano un frutto della terra che ha sempre dato nutrimento all’uomo. A scoprirne l’importanza nella gastronomia saranno i Greci, facendone un florido commercio, selezionando le varietà a seconda dell’uso, per farne il pane nero di Sparta, le sfarinate, le minestre, come ci confermano le testimonianze di Ippocrate e Senofonte, che chiamava il castagno, albero del pane. Catone e Plinio Il vecchio, ne consigliavano la cottura sul fuoco vivo, sotto la cenere, nel latte, Apicio le cuoceva nel tegame con spezie, erbe aromatiche, aceto e miele, mentre Galeno e altri medici ne scoprivano gli aspetti nutrizionali, e l’efficacia nel prevenire disturbi gastrointestinali.
Nel Medioevo saranno gli ordini monastici a tenere viva la cultura della castagna, con rimboschimenti e raccolte programmate, e nei secoli successivi sarà un salvavita per sopravvivere a guerre e carestie, e saprà guadagnarsi il posto che merita, nei ricettari nobiliari di Sette e Ottocento, diventando ingrediente prelibato nei ripieni di selvaggina, ma soprattutto nei dolci, per il suo sapore delicato e unico. E le semplici castagne muteranno in “Purè di marroni”, passati nel mortaio dopo cotti, mescolati a zucchero, panna, vaniglia, e serviti freddi o caldi, utilizzando la siringa; “tortelli fritti di castagne”, con un ripieno di castagne pestate, cedro candito, mostarda e zucchero; “castagne alla confiture”, servite fredde con il guazzetto della bollitura; e ancora “patè di marroni”, una pasta di castagne pressate unita a latte, zucchero e cioccolata, che una volta raffreddata veniva modellata a piacere, nella forma che si desiderava, e poi ricoperta con cioccolato al latte fuso, e servita fredda; o “marroni conservati”, un empirico metodo per preservare fino a giugno, le castagne raccolte a novembre, in vasi chiusi pieni di sabbia, a loro volta immersi in terra e sabbia.
Un frutto duttile e antico, da riscoprire e impiegare nelle più diverse preparazioni, finalmente valorizzato come merita, in un volume, che ne esplora i molteplici aspetti, realizzato da
Artestampa Edizioni (Modena), in collaborazione con la
Confraternita del Gnocco d’Oro. Un volume da leggere con l’acquolina in bocca, per scoprire un cibo antico della tradizione, straordinariamente attuale, con enormi potenzialità ancora inespresse.
Alla presentazione del volume è seguita nella sala Giuseppe panini della Camera di Commercio di Modena, la
premiazione dei trasformatori e ristoratori più virtuosi, e dei
mulini che producono le farine di castagne ritenute più piacevoli, e con meno difetti, dal punto di vista organolettico, secondo una giuria di gourmet, mentre in seguito all’analisi clinica dell’Università di Modena, sono state evidenziate e premiate le farine con la maggior quantità di tannini, e quindi più sane.