“Mia moglie Ginny frequentava la scuola d’arte e io il Mercato Centrale. – ricorda Jonathan – Andavo ai Boboli con mia figlia, e mi sentivo ricco del mio tempo. Poi, per diverse estati tornammo sul Gargano, dove facevo il bagnino, famoso quasi come Michael Jackson, tanto rari erano gli americani da quelle parti. Fu lì che incontrai un ragazzo napoletano che mi parlò per la prima volta di pizze”.
A quei tempi Jonathan lavorava come assistente sociale con i senzatetto di Chicago e la sua esperienza culinaria si limitava al cibo delle mense per i poveri. Una formazione che ancora oggi gli serve per tenere in alto il cuore e la passione per ciò che fa, per quello che è diventato: il più bravo pizzaiolo di Chicago e tra i più grandi degli Stati Uniti.
“Non c’è solo il mal d’Africa. Esiste anche il mal d’Italia. Te lo posso garantire!” mi confida Jonathan mentre mi racconta quando disse a sua moglie: esco a fare una passeggiata.
Quella passeggiata lo aveva riportato in Italia, nei primi anni Duemila, a Napoli per l’esattezza, dove restò 18 mesi ad imparare a fare la pizza: da Enzo Coccia in primis, poi da Franco Pepe, da Attilio Bachetti, da Michele, da Starita, da Di Matteo.