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Storie belle da un terremoto orribile

23/05/2012

Storie belle da un terremoto orribile
Anche un po’ per scelta non abbiamo voluto scrivere subito del terremoto che ha colpito la terra emiliana, non ci piacciono le notizie affannose e imprecise e non siamo un giornale quotidiano che invece ha l’obbligo di darle in tempo reale.
Ne scriviamo adesso, a pochi giorni dall’accaduto, “per non dimenticare” come si usa dire e per raccontare tre storie di persone e di luoghi che hanno a che fare con il cibo, patrimonio materiale e bene immateriale di quella terra, fatto di tradizioni, di abitudini, di solidarietà.
Il cibo è solidarietà e non è per caso che scandisce la storia di una regione dove collaborazione, comprensione e dialogo tra le persone rimangono ancora fatti tangibili.

La prima storia è quella del formaggio, di quel grana che qui, tra Modena e Ferrara, viaggia su una linea di confine: a Modena è Parmigiano-Reggiano, a Ferrara è Grana Padano. I due prodotti DOP più conosciuti al mondo. Ora si ritrovano uniti a reagire al disastro, a cercare di fare in modo che quelle 400.000 forme danneggiate e, in molti casi, irrimediabilmente distrutte, non creino fenomeni speculativi da parte di “sciacalli” che appaiono ad ogni disgrazia. I due consorzi Padano hanno voluto assicurare i consumatori che le forniture continueranno regolarmente e “chiedono ai consumatori di segnalarci eventuali situazioni speculative circa la mancanza di prodotto, o ingiustificati rialzi di prezzo dello stesso".
Chi non è mai entrato in uno stabilimento di stagionatura non sa cosa vuol dire l’emozione delle “scalere”, oggi crollate: novecentocinquanta forme per ogni scalera, un capolavoro di architettura che, fino a pochi anni fa, veniva costruito tutto a mano, spostando una ad una le forme per consentire una stagionatura perfetta. Ma non resteranno a terra a lungo, quelle impalcature, anche se per fare un ottimo Parmigiano-Reggiano ci vogliono 24 mesi. Chi fa il mestiere di casaro vive “per” quel lavoro, prima ancora che “di” quel lavoro.

La seconda storia è quella di Giovanna Guidetti che il 4 ottobre del 2000 entrò per la prima volta nei locali del 1600 a Finale Emilia, di fronte alla Rocca Estense, che ospitavano l’osteria della signora Genoveffa. E se ne innamorò al punto di trasformarli in quel prezioso gioiello di architettura, anche culinaria, e di ospitalità che è oggi l’Osteria della Fefa. Non hanno chiuso neppure un’ora nel giorno del terremoto, davanti alla Rocca distrutta: pane, formaggio, salame gratis per tutti, per accogliere gli abitanti, per confortarli, perché lì c’è davvero una comunità. Aspettavano che tornasse il gas per dare a tutti un piatto caldo.

La terza storia è quella di Antonio e di Elvira Previdi, titolari della Trattoria Entrà, collocata in un grappolo di case tra San Felice sul Panaro e Finale Emilia, tra le due rocche antiche sventrate dal terremoto; la trattoria, attiva dal 1918, non ha subito danni alle antiche mura ma l’interno è stato letteralmente ricoperto del rosso del vino di quella importante carta dei vini che Antonio, anno dopo anno, ha costruito con passione.
“Ma si va avanti - ci racconta mentre tinteggia le pareti per coprire lo scempio - qui eravamo e qui rimarremo, anche se ci mancherà la bellezza del nostro patrimonio storico distrutto”. Servono  locali così, servono persone così. Fanno bene al mondo della ristorazione e se, per caso, scegliamo di uscire a cena in una di queste sere di primavera, scegliamo loro o qualcuna delle tante trattorie che punteggiano la bella pianura estense. Sarà un piccolo gesto, un modo come un altro per dire: vi siamo vicini.

Luigi Franchi

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