Quando si parla e si scrive di vita e di cibo, si parla e si scrive di relazioni. È inevitabile, è la storia filogenetica dell’uomo, da sempre mosso dalla necessità di raccontare. E sono le parole stesse a spiegarcelo: cultura deriva dal latino colere, coltivare, ma richiama anche il verbo incolere, abitare; per associazione, coltivare se stessi e dunque, nutrirsi. Di nomi, simboli, metafore.
E di cultura e di nutrimento parla l’antologia
“Storie di cibo, racconti di vita”, un progetto sostenuto da
Expo 2015 e dalla
Triennale di Milano, pubblicato da
Skira: undici autori italiani, altrettanti linguaggi e chiavi prospettiche per narrare il rapporto tra uomo e cibo, dal e intorno all’
agri-cultura di Milano. Perché Milano? In motivo prossimale è, appunto,
Expo 2015 - Nutrire il Pianeta. Energia per la vita; il distale ha a che fare con le direzioni, quelle che tanti uomini e donne hanno preso nel corso del Novecento e che li ha condotti qui, alla ricerca di fortuna, di denaro e anche di loro stessi.
Il libro è stato presentato nel chiostro del
Piccolo Teatro, uno tra i luoghi simbolo di ricerca della città meneghina: “C’è voluto un anno e mezzo di lavoro e di studio per creare questa raccolta, tanta era ed è la storia alimentare che possiede questa città” ha spiegato
Davide Rampello, ex direttore della Triennale, direttore artistico del Padiglione Zero del prossimo Expo e ideatore dell’antologia a cui seguirà, nel 2013, il racconto dei mercati di Lombardia.
A riavvolgere il nastro del tempo, invece, ci hanno pensato le parole, recitate nel corso della serata, del racconto-biografia scritto da
Paolo Marchi e dedicato ad un Signore, anzi ad un Signore e Signora, sempre al singolare anche se in due, della Cucina Italiana,
Aimo Moroni e Nadia Giuntoli, coppia nella vita e ai fornelli de “
Il luogo di Aimo e Nadia”, in Via Montecuccoli. E ci ha pensato
Alessandro Negrini, il giovane ma già grande cuoco valtellinese che con il pugliese
Fabio Pisani ha da sette anni l’onore e l’onere di mettere in tavola il punto di incontro tra continuità ed evoluzione nella cucina dei Moroni: perché una storia di cibo - e di fame - la si capisce meglio anche attraverso gesti, odori e sapori, ha cucinato dal vivo uno dei piatti simbolo di Aimo e Nadia fin dal 1965, gli Spaghetti con Cipollotto e Peperoncino (
vai alla ricetta).
Io cucino perché… è l’occasione per rivivere o incontrare per la prima volta “quella” Milano, quella di cui ci si riempiva la testa e la bocca nella speranza che potesse offrire, in cambio del far qualcosa, denaro. Denaro vero, quello che faceva sembrare Milano, ad Aimo nato nella campagna toscana nel 1934, il paese del Bengodi. Era il 21 aprile 1946, il giorno in cui il ragazzino arriva in città mandato dallo zio per aiutarlo a vendere le caldarroste in inverno e i gelati d’estate davanti ai cinema. Dalla Guerra al Cinema… questo è il Novecento ricordato da Aimo: l’Annonaria che controlla che i lavoratori siano maggiorenni, una coppia distinta (Carlo d’Apporto e Wanda Osiris, come seppe solo dopo) che paga un ghisa per salvare dalla multa quel ragazzino di neanche quindici anni figlio sì di carabinieri ma bisognoso di soldi, le case di ringhiera oggi tanto di moda, la polenta a pranzo e cena perché il mais costa meno del frumento, “buona con la fame” come diceva il Lenzi, compagno di scuola di Aimo, non il “che” ma il “qualcosa” da mettere sotto i denti, con i tedeschi sull’Arno e gli americani alle spalle.
E poi arriva quel giorno, il 27 giugno del 1955: Aimo, appena maggiorenne, inizia a lavorare come cuoco con la madre Nunzia in quello che era un bar tabacchi in Via Copernico e, poco alla volta, alla gente piace dire “vado da Aimo”, perché quel ragazzo lì fa da mangiar bene e sa, d’istinto, che i clienti vanno seguiti, ascoltati, coccolati e capiti. E poi, ancora, l’anno dopo arriva Nadia, l’altra metà della storia: bella, figlia di carabinieri come lui, innamorata come lui. “Non pensavo che avrei fatto la cuoca, fu mia suocera a insegnarmi, lei che era una grande donna di cucina. Non è stato difficile, perché c’era tanta passione e la volontà di proseguire una strada insieme”. Parole che, ascoltate o lette oggi, dove ogni sciocchezza sembra insormontabile, fanno venire la pelle d’oca vero? Quando Aimo e Nadia approdano in Via Montecuccoli è il 1962 e non c’è nemmeno l’asfalto davanti al bar con le bocce per gli operai dei cantieri; ma stringono i denti, aprono il cuore e la mente, e cambiano la storia della cucina italiana insieme alle insegne: nel 1987 è il Ristorante da Aimo e Nadia e dal 1998 è, saldamente, il Luogo di Aimo e Nadia.
“Un grande piatto nasce da una grande materia prima e dalla sua conoscenza profonda. Il cuoco non fa miracoli. Parlare di cucina di alto livello, per me significa riportare tutti, a partire da chi cucina, sulla terra. Perché la grande cucina non è quella ricca o quella povera, ma quella buona.” Le parole di Aimo ci fanno annuire, perché la Verità sta qui, accidenti, dentro una ricetta, dove sta la Cucina, che non è solo tradizione, ma è soprattutto relazione, con le persone e con gli ingredienti.
Oggi ce lo ricorda anche Stefania Moroni, che lavora con i genitori da venticinque anni, è la terza generazione in linea femminile e ha saputo aprire un dialogo con le forme artistiche contemporanee “portando avanti cose divertenti e serie allo stesso modo, spingendo avanti una cucina che parla italiano da Trieste a Lampedusa, con fantasia e amore, che fa bene alla storia e al cliente”. E ce lo ricordano Alessandro e Fabio, che sanno leggere con metodo, rigore, cura e cuore il centro di questa cucina, proiettando la storia nel futuro.
Questa è filogenesi, questa è cultura, questo è nutrimento, del corpo e della mente.
Storie di cibo, racconti di vita.
Skira editore.
Autori: Marco Amato, Nanni Balestrini, Silvia Ballestra, Rossana Campo, Chiara Daino, Eleonora Danco, Luca Doninelli, Andrea Kerbaker, Paolo Marchi, Antonio Scurati, Lello Voce.
www.expo2015.org
www.aimoenadia.com
Alessandra Locatelli