L’indice di fiducia delle imprese italiane nel mese di agosto era passato da 79,8 a 82,2. Conquistando i titoli su molti giornali, questa positiva notizia aveva fatto cambiare il tono dei commentatori economici e dato un filo di sorriso a qualche politico filogovernativo quando mezza Italia stava per andarsene sotto l’ombrellone. Di questi tempi poter disporre di notizie positive è cosa sempre più unica che rara e, dopo tanti mesi di cattive notizie, poter cogliere un timido segnale proveniente dalle imprese manifatturiere insieme, dato ancor più strano, alla flebile fiducia anche nel versante dei consumatori, per l’appunto passata da 97,4 a 98,3, non sembrava vero.
Gli scettici, e noi con loro, l’avevano vista così: sarà stato il clima agostano pre- vacanziero, sarà che in quei giorni in cui non si faceva altro che parlare di Imu c’erano già le avvisaglie per non farla pagare, fatto sta che con una piccola dolce euforia gli italiani sono partiti per le vacanze. Ma che si trattasse di una inversione di tendenza che facesse pensare ad una ripresa a tutti gli effetti, tale da farci credere di aver imboccato la via della crescita economica e messo la parola fine alla crisi, nessuno ci ha veramente creduto. Anche se per la verità tra quei volti sorridenti c’era qualcuno che voleva farlo credere.
Si sta parlando di “sentiment” raccolti dall’Istituto Nazionale di Statistica, quindi non proprio l’ultimo a fare questo mestiere, tuttavia nulla o quasi di economico e soprattutto nulla di concreto è emerso a sostegno di questo dato da avvalorarne la tesi lanciata nel pieno dell’estate. Tanto è vero che quegli stessi indici divergono tra loro, e lo si sarebbe visto subito se solo si fossero confrontati con i dati delle imprese che fanno export rispetto a quelli delle aziende che vendono principalmente nel mercato interno. O tra chi lavora nel settore manifatturiero e chi lavora nell’edilizia, ancora il settore più martoriato dalla crisi e comunque considerato di traino per il Paese.
I dati sbandierati già quando erano stati diffusi contenevano delle ombre e dovevano servire ad uno scopo d’immagine per sostenere un clima di momentanea fiducia per farla passare alla gente. Peccato che tutto sia durato poco, forse nemmeno il periodo delle ferie. Ora di quei dati non si parla più, gli italiani non li ricordano certamente, perché hanno ripreso se va bene a lavorare o a ricercarsi il lavoro. Sono tornati a confrontarsi con i dati veri, quelli di tutti i giorni. I figli che riprendono le scuole con il solito problema del caro libri, la rata del gas arrivata puntualmente al rientro e con il lavoro diventato ormai un privilegio, dove quando va bene si ha un contratto a termine perché appartenere alla categoria di chi lo ha a tempo indeterminato è prerogativa di una minoranza, ma in questo caso fortunata.
Roberto Martinelli