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Trasparenza alimentare, tra necessità e opportunità

26/10/2019

Trasparenza alimentare, tra necessità e opportunità

Quello della trasparenza in ambito alimentare è un argomento
delicato, da trattare con  guanti di lino. Rispetto ai decenni scorsi sono
stati compiuti passi da gigante, sì, ma la strada è lunga: molti aspetti
legislativi che la riguardano sono ancora in via di definizione; gli scandali
alimentari non sono ancora completamente estinti (lo saranno mai?); e, a onor
del vero, il prezioso concetto di “trasparenza”, pur se diffuso tra chi opera
nella catena alimentare, non è ancora applicato nella sua totalità.



Quello che vogliamo comunicare ai nostri lettori è che nel futuro più prossimo
i consumatori dei servizi di ristorazione richiederanno sempre più trasparenza
in termini di approvvigionamento, origini alimentari e metodi di coltivazione e
trasformazione. E dunque le aziende - si tratti di aziende produttrici,
distributori, o stessi ristoratori -  di riflesso dovranno adottare misure
sempre più orientate a garantirla.

Alla luce di ciò proviamo a delineare un quadro abbracciando un po’ tutto
quello che riguarda la trasparenza alimentare.





Il distributore, attore attivo e pro-attivo

Le responsabilità delle figure intermediarie vengono spesso sottovalutate
(anche) quando si parla di trasparenza. La tendenza è di concentrarsi sul
soggetto che sta all’inizio della filiera, ovvero su chi appone l’etichetta: il
produttore.

Fungere da ponte tra produttore e utilizzatore/consumatore non rende esenti
dagli obblighi di trasparenza alimentare. Come ci suggerisce Benhur Tondini,
amministratore delegato di Tondini Srl, essere un intermediario nella catena
conferisce una doppia responsabilità. 

“Diversamente da come si pensava in passato, noi distributori non siamo figure
di puro mantenimento che si limitano a stoccare in magazzino o in cella un
prodotto. Il ruolo del distributore è cruciale in termini di trasparenza e
sicurezza. Giochiamo il ruolo di attori attivi e pro-attivi perché le nostre
scelte e azioni incidono sul corretto andamento di tutta la filiera; da un lato
abbiamo delle responsabilità operative, legate al mantenimento della catena del
freddo, al controllo delle temperature, al corretto stoccaggio delle merci,
alla cura dell’archivio delle schede tecniche per ogni singolo prodotto, alla
gestione precisa dei lotti, e quindi alla possibilità di tracciare un prodotto
all’origine; dall’altro vantiamo un ruolo propulsivo perché siamo in contatto
diretto con i bisogni dei consumatori e selezioniamo le forniture in funzione
di quelli. Quindi, siamo diretti responsabili sulla sicurezza del consumatore e
una delle figure che può orientare il mercato”.

L’approccio è condiviso anche dal presidente di Cateringross, Carmelo Nigro.

“Negli ultimi anni abbiamo assistito a un significativo cambio di rotta
sull’informazione al consumatore o utilizzatore finale. Oggi si ambisce a
fornire quante più informazioni possibili in merito ad un prodotto, si parla
della sua origine, si dichiara la shelf life, si scende nel dettaglio tecnico
anche sulla composizione chimica e sui valori nutrizionali. Sembrano parametri
e indicatori ormai ovvi, ma non dobbiamo dimenticarci che sono tutti traguardi
importanti raggiunti in una storia piuttosto recente. E, soprattutto, dobbiamo
essere consapevoli che molte attività ancora non si sono allineate”. L’origine
di questo movimento è stata la variazione dei principi che governano la
domanda, come suggerisce il presidente di Cateringross. “Sono mutate le
sensibilità e le esigenze d’informazione del consumatore finale, quindi le
scelte d’acquisto non sono più influenzate solo da logiche legate al prezzo ma
guardano a un attributo fondamentale: la qualità del prodotto. La qualità degli
alimenti (e delle bevande) è uno dei bilancieri più importanti in fase di
scelta. Il concetto di qualità, però, è estremamente complesso e sfaccettato;
quando si parla di qualità si tira in ballo la salubrità, la complessità
organolettica, l’etica di produzione e molto altro. È quindi articolato anche
il parterre di referenze da cui possiamo attingere per allestire i nostri
assortimenti ed è molto complicato riuscire a veicolare la qualità di ciascuno
di essi. Lo strumento più utile e funzionale che abbiamo a disposizione?
Senz’altro la corretta informazione. Informando, con chiarezza e trasparenza,
possiamo motivare e orientare i nostri clienti. Personalmente considero questa
opportunità un onere e un onore: noi distributori siamo sempre più promotori e
divulgatori di cultura, di conoscenza. Non siamo trasportatori, grossisti,
tantomeno intermediari passivi di catene lunghe e arzigogolate!”.



Esigenza per conseguenza

Ma da cosa nasce l’esigenza d’informazione in materia alimentare?

In questi anni l’Unione Europea ha lavorato assiduamente in quest’abito per
proteggere la salute, la sicurezza e gli interessi dei consumatori, per
assicurare la lealtà delle transazioni e per proteggere l’ambiente. Il
Regolamento 178/2002 parla chiaramente di “principi di trasparenza”, ovvero di
principi atti a  garantire ai consumatori tutte le informazioni necessarie
per compiere scelte consapevoli.  

È proprio questo il senso dell’essere trasparenti: per un attore della filiera
alimentare, esserlo significa garantire le complete (e vere) informazioni circa
il percorso, la natura e la salubrità di un alimento, per consentire a
chi  è “a valle” di scegliere da informato sui fatti. Ma nulla accade per
niente. 

C’è un’importante correlazione, infatti, tra trasparenza e mancanza di
sicurezza alimentare. La prima è nata in funzione della seconda.  Prima
che si parlasse di trasparenza numerose frodi alimentari hanno messo seriamente
a rischio la salute dei consumatori, in alcuni casi portando ad esiti
irreparabili. Pensiamo allo scandalo del metanolo nel vino datato 1986, o al
morbo della mucca pazza: queste eclatanti condotte fraudolente hanno colpito la
popolazione, ignara di cosa stesse consumando. Le esigenze, purtroppo, nascono
spesso da terribili conseguenze. È  auspicabile che non si perseveri e che
si faccia prevenzione.



Piccolo non è sinonimo di trasparente

È più semplice essere trasparente per una piccola azienda o per una grande
azienda? Anche di questo abbiamo parlato con il presidente di Cateringross,
Carmelo Nigro. 

“Il settore del food&beverage è composto da aziende di varie dimensioni.
Molti consumatori erroneamente sono convinti che piccolo produttore sia
sinonimo di alimento sano, buono, sicuro. Dobbiamo invece considerare che più
ampia é un’azienda, più risorse si presuppone ci siano per ciascun reparto, più
precisi (teoricamente) sono gli strumenti che definiscono le informazioni
presenti in etichetta. Pensiamo all’analisi microbiologica e nutrizionale dei
prodotti,  all’aggiornamento costante degli operatori, anche per quel che
riguarda le leggi e le normative sulla sicurezza. Le aziende di grandi
dimensioni hanno, tendenzialmente, un controllo spiccato su tutti questi
fronti.

Nonostante ciò, e nonostante la valenza della trasparenza oggi, stiamo
registrando una forte spinta all’acquisto da piccole aziende, soprattutto
locali. È una tendenza positiva, che noi sosteniamo perché valorizza il
territorio e le realtà artigianali, ma è necessario che anche queste attività
soddisfino i requisiti di corretta informazione. Il piccolo produttore non si
deve sentire assolto da alcun obbligo solo perché produce con pratiche
artigianali o coltiva pochi ettari, o ancora ha un allevamento numericamente
contenuto. Deve giustificare il prezzo (che generalmente è alto) dei suoi
prodotti con quante più informazioni possibili, non far leva solo sui fattori
di artigianalità, prossimità geografica (pensiamo per esempio al km 0) o alle
piccole dimensioni dell’azienda.



Dall’etichetta al piatto

Quando parliamo di trasparenza in campo alimentare dovremmo aver ben chiaro
che non si tratta solo di etichette complete, esaustive, con contenuti
veritieri. La trasparenza è anche quella che si esercita in ristorante, ad
esempio nel menu. Vi ricordate come erano impostati i menu fino a pochi anni or
sono? In alcuni casi si trattava di volumi gonfi di proposte e piatti ma
essenzialmente scarichi di contenuti utili al consumatori. Non c’erano
indicatori di provenienza, non erano segnalati gli allergeni, non comparivano,
salvo rari casi, i nomi dei produttori. Il cambiamento è da tempo atto (in
alcuni casi se ne abusa anche) perché il ristoratore ha colto l’opportunità,
forse anche più delle stesse aziende produttrici: utilizzare nomi di aziende e
persone, o geolocalizzare un prodotto, è una strategia, oltre che una scelta
etica, utile a definire l’identità del proprio locale e a  favorire la
fidelizzazione del cliente.



Un atteggiamento universale

“L’essere trasparenti è un atteggiamento che non riguarda solo l’ambito
alimentare, ma investe la persona nella sua totalità” - spiega ancora Benhur
Tondini. “La considero una filosofia di vita che aiuta alla crescita e porta
sempre qualcosa di buono: se c’è trasparenza c’è veridicità nei rapporti, c’è
arricchimento culturale, c’è formazione e accrescimento dell’individuo. Il messaggio
che dovrebbe arrivare a tutti, consumatori compresi, quando si parla di
trasparenza, è che l’uomo è una componente attiva di tanti ecosistemi
(ambientali, sociali, alimentari…). Come in tutti gli ecosistemi vige la regola
della circolarità e noi la guidiamo; i bisogni nascono nell’uomo e vengono
soddisfatti dall’uomo. Se insorge un bisogno etico o una necessità legata alla
salute è l’uomo il diretto responsabile della sua soddisfazione. Proprio in
merito a questo faccio una riflessione. In tutti i sistemi il punto di partenza
è la natura, anzi la terra. Dalle condizioni di salute delle coltivazioni si
sviluppano a cascata tutta una serie di conseguenze favorevoli o sfavorevoli
per il benessere dell’individuo. L’utilizzo corretto di sostanze fertilizzanti
- non dannose e non inquinanti - per le coltivazioni si riflette sul nostro
benessere direttamente e indirettamente, sia che si faccia consumo di vegetali
sia che si faccia consumo di prodotti di origine animale. In ogni ecosistema
“l'ordine porta a buon ordine”, ovvero se ogni componente rispetta una certa
filosofia l’ecosistema funziona nel modo giusto, nel modo migliore. Questo per
dirvi che se assumiamo un atteggiamento trasparente, se scegliamo di essere
pienamente informati su ciò che acquistiamo e commercializziamo, ne trarremo
tutti beneficio. È un invito ad esserlo nel nostro lavoro ma anche in tutto il
resto”.







Giulia Zampieri

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