Lavoratori scoraggiati, un neologismo che è entrato nei dizionari della lingua italiana e che ha per definizione “Situazione che si determina quando un disoccupato rinunci a cercare lavoro perché una contrazione dal lato della domanda delude le sue aspettative, lo scoraggi, appunto”. Questa triste connotazione è supportata dagli ultimi dati Istat, che individua il consolidamento di un nuova categoria, in aggiunta all’intera classe dei disoccupati, stimati in oltre 2 milioni complessivi. L’identikit del lavoratore “scoraggiato” è questo: persona potenzialmente impiegabile nei processi produttivi ma che ormai non cerca nemmeno più un lavoro.
Nel 2010 questi erano 2 milioni 764mila unità, di cui sei su dieci erano donne, corrispondenti ad una percentuale corrispondente all’11% della forza lavoro complessiva e di tre volte superiore alla media europea. L’incidenza degli scoraggiati, nel biennio della crisi, è passata dal 38,1% del 2008 al 42,5% del 2010, e ha un incremento fino al 47% nelle regioni del sud, in cui le inferiori opportunità d’impiego si coniugano ad una maggiore sfiducia nella possibilità di trovare e conservare un’occupazione.
Sconcertante è la percentuale dei lavoratori inattivi di età compresa fra i 15 e i 24 anni, che rappresenta ormai il 30,9% dell’esercito dei disoccupati. Se a questi numeri si aggiungono quelli dei contratti di lavoro precari, la cifra che si ottiene arriva a quasi 5 milioni. Si calcola che da agosto l’aumento della disoccupazione è del 3,8, con una crescita complessiva di circa 76mila unità.
"Il rialzo riguarda sia la componente maschile sia quella femminile", spiega l'Istat.
Sull’altro fronte, gli occupati scendono sotto i 23 milioni con un calo dello 0,4 per cento rispetto allo scorso agosto. "Anche in questo caso la diminuzione interessa sia uomini che donne, mentre nel confronto con l’anno precedente l’occupazione resta, invece, sostanzialmente invariata".