Il paradosso dell’isola
Un’immagine mi percorre la mente, prima di qualsiasi altra, quando oggi penso al turismo nei mesi estivi. Ve la racconto quasi come se fosse una (drammatica) storia.
Una fila di barconi stracolmi di persone (parliamo di centinaia e centinaia), con la musica assordante, attracca sulla costa di una bellissima isoletta del Mediterraneo. Subito dopo riversa attraverso grandi scivoli fiumi di teste su docili distese di mare cristallino. Fino ad allora era bellissima quella distesa d’acqua, percorsa da colori calamitanti, dal turchese al verde. Persino dall’aereo o dal satellite se ne rimaneva abbagliati.
Quello stesso mare, minuto dopo minuto, impotente, si trova a dire addio al suo ecosistema e a quei meravigliosi colori. Ormai è rassegnato: anche quel giorno è destinato a sporcarsi, riempirsi di oggetti, mozziconi di sigarette e altri souvenir omaggiati dall’uomo. Piccoli oggetti depositano sul fondale o galleggiano qua e là, quasi fossero parte naturale della scenografia.
Di quell’invasione farebbe volentieri a meno, il mare. E forse, a guardarli bene, non sono felici nemmeno gli umani appena approdati sull’isola. Irritati, sofferenti, infelici, accalcati. Ignari e incuranti, oltretutto, che la sabbia e gli scogli su cui poggiano, su cui stanno consumando le proprie vacanze è il racconto di intere ere geologiche (ci ricorderebbe, con la profondità che lo contraddistingue, l’esperto di storia mediterranea Alessandro Vanoli).
Non finisce qui però, la storia. Perché l’uomo contemporaneo ha un gran bisogno di sfruttare la bellezza dei luoghi. Vuole fare business fin dove ce n’è. E pensa: “Prima o poi la gente dovrà saziarsi e dissetarsi, no?”
E allora, su quella meravigliosa isola pressoché disabitata (conta solo due abitanti) sono schierati all’ingresso, proprio dove approdano le barche per l’escursione giornaliera, una fila di food truck rumorosi e sbrilluccicosi. Sono pieni di cibo, bevande in lattina o in vetro e generano rifiuti su rifiuti gestiti alla bell’e meglio. E poi, poco più in là, il pezzo forte: una squadra di ragazzi svuota a ritmo incessante ananas per ricavarne dei bicchieri da cocktail.